giovedì 21 novembre 2013

Milano da bere: il latte di Roberto Bagnera





Il latte

         Milano aveva una vera e propria venerazione golosa per la panna , tanto da spingere il Foscolo a soprannominarla “Paneropoli” e ad accomunare la gola dei cittadini ambrosiani alle mollezze ed ai vizi degli antichi patrizi romani, additando allo smodato uso di panna una presunta decadenza di usi e costumi cittadini, al di là della feroce satira del Foscolo, del resto veramente poco attendibile come moralizzatore, il latte, per quanto in forma liquida, è il primo e più importante alimento dell’uomo che ne fa conoscenza fin dai primi vagiti, attaccandosi alle poppe della madre e servendosi a sazietà fino all’inevitabile..ruttino.
          Milano, ancora ai primi del Novecento era circondata di cascine con annessa azienda agricola funzionante, quindi l’approvvigionamento di latte non presentava certo problemi, bastava dotarsi di apposito contenitore e recarsi in una di queste cascine, la mattina presto, per acquistare la propria dose quotidiana di latte appena munto, quello vero, che faceva una panna così…
 C’era anche la possibilità di servirsi dai pastori stessi che con le loro bestie frequentavano le periferie, allora prima di andare a scuola o al lavoro, si poteva mungere direttamente la propria porzione di latte di capra o di mucca, quei pastori erano detti bergamini perché spesso dalla città di Bergamo avevano la loro origine, ed ancora oggi esiste una formaggella detta proprio bergamina.
         Ma, si sa, i vecchi sistemi, per quanto assicurino gusti e sapori oggi non più raggiungibili, non erano certo dei più igienici, tantomeno commercialmente convenienti, così si decise di provvedere…

Quel del latt in tetta (Civico Archivio Fotografico)


La Centrale del Latte
Vera istituzione meneghina la Centrale del Latte sorge in viale Toscana fin dalla sua fondazione nell’anno 1927.
La Centrale del Latte di Milano di via Castelbarco (Foto Archivio Granarolo)

Nei tempi precedenti il latte passava direttamente dal produttore al commerciante con tutti i problemi igienici che questo traffico comportava e la nuova istituzione risolse definitivamente il problema perchè già da allora era dotata di un impianto di lavorazione fra i migliori d’Europa.

Nel 1929 fu data in appalto per 20 anni alla “Societa’ Anonima Centrali del Latte, che riuniva latifondisti e grossi allevatori lombardi con l’esclusiva della vendita entro la cinta daziaria.


Scaduto il contratto nel 1950 il Comune tolse quel monopolio per esercitare  in prima persona un’attenta selezione del Prodotto. Nel 1957 accanto al vecchio stabilimento entro’ in funzione il nuovo, disposto su un area di 3 ettari e mezzo  in via Castelbarco.

Morivione ed i lattai

In via dei fontanili sopravvivono i resti di una chiesetta rurale detta Sacra Famiglia in Morivione, attualmente chiusa perché pericolante.
Il Ponzoni, nel suo libro “Chiese di Milano” lo data al 1786 anche se da alcuni documenti risulta essere più antico se fu ampliato nel 1676 (Arch. Curia Arciv.).
       E’ una chiesetta a navata unica, con il tetto sporgente ed una facciata sobria, ha una pregevole pala a bassorilievo che rappresenta la sacra famiglia.
Il nome deriva dal testo di una lapide “Qui Morì Vione”, che in tempi antichi indicava il luogo ove questo personaggio passò a miglior vita, e finì per indicare il circondario stesso.
Vione, chi era costui?
Esistono diverse versioni a tal proposito Forse Vione era un generale Franco che rimase ferito durante i sanguinosi combattimenti contro i longobardi di re Alboino e che giunse stremato durante la ritirata a Milano solo per morire di cancrena sulle rive del Ticinello.
Secondo un’altra tradizione tal Vione Squilletti era un mercenario veneto che alla guida dei suoi sgherri saccheggiava il territorio del milanese finchè non fu sconfitto ed ucciso dalle truppe di Luchino Visconti nella località suddetta.
Terza versione, quella popolare e quindi per noi più accreditata, tramanda che questo Vione fosse un feroce bandito che alla guida di 600 masnadieri avrebbe tentato addirittura di impadronirsi della città, era il 1236 ed il 23 aprile, giorno di San Giorgio,unico punto in cui le tre versioni trovano accordo, ed il brigante trovò la morte in quel borgo racchiuso fra la Vettabbia ed il Ticinello, e qualcuno per rammemorare la sospirata liberazione dalle angherie di quel losco figuro incise la lapide di cui sopra.
Si dice che in quel giorno le campane suonassero a festa e che le donne del borgo offrirono ai soldati che le avevano liberate latte fresco, panna e uova.
          Nacque così una festa che ancora negli anni venti del secolo scorso faceva accorrere famiglie a frotte nelle osterie del Vigentino: La Panerada, festa della panna, dove il dolce nettare veniva servito nelle tazze di maiolica e accompagnato dal prelibato Pan de mej dolz, il tipico dolce di farina di miglio e fior di sambuco.
Da quel giorno San Giorgio venne assunto come protettore dei lattai che abitavano la zona.

 
Scorcio di via dei Fontanili e chiesetta della Sacra Famiglia in Morivione (Google Street View)
Il Mezzo Sovrano e la Bavaresa
Ancora il proverbiale umorismo milanese si diletta a prendere in giro i potenti.
Ci si riferisce al viceré Eugenio di Beauharnais figlio di Giuseppina, sposa di  Napoleone Bonaparte, ed all’arco di trionfo che la municipalità fece erigere per il suo ingresso in città assieme alla moglie: Augusta Amalia, figlia di Massimiliano di Baviera.
L’incarico fu affidato al Cagnola che eresse l’arco di trionfo provvisorio, ad un solo passaggio, in Porta Riconoscenza, sic., che prima era Porta Orientale ed oggi Porta Venezia.
L’arco piacque talmente tanto al Viceré ed ai maggiorenti cittadini che si decise di erigerne una versione definitiva alla barriera per la strada del Sempione, con l’esorbitante costo, allora, di  4.500.000 lire austriache.
L’idea non dovette piacer molto ai comuni cittadini ambrosiani che in quattro e quattro otto  coniarono la frase lapidaria: “Quanta spesa per un mezz sovran e una bavaresa” giocando inevitabilmente con i reconditi significati giacché il Mezzo Sovrano era una moneta di scarso valore, e la “bavaresa” era una popolare bevanda a base di latte caldo e cacao.
           
Latteria superstite, foto ACAdeMI King Atall

 Eccoci di ritorno al latte per un altro gradevole ricordo dei tempi che furono,
come dimenticare quei luoghi lindi e profumati che dal fatto di essere punti di vendita del prezioso alimento presero il nome loro: le Latterie.
        Erano luoghi di paradisiaca felicità per i bimbi perché vi si potevano trovare le caramelle più buone, quelle di zucchero, piccole come mentine e di tutti i colori, quelle gelatine di frutta gommose e zuccherose che ti si attaccavano ai denti, i cioccolatini, al latte, sa va sans dire, e quando l’inverno era alle porte ecco la delizia di quei coni friabili che si riempivano di golosa panna montata impreziosita da sbuffi di cacao.
       Le latterie di Milano erano una delle spine dorsali del commercio alimentare cittadino ci si andava per comprare il latte fresco di giornata, le uova che una volta arrivavano dalle cascine del circondario, i biscotti che ancora profumavano di forno ed i prodotti derivati da latte: burro innanzitutto ma anche certi formaggi e certi gorgonzola profumati e saporiti come non se ne trovano più.
       La prima cosa che colpiva in questi luoghi era un candore latteo ed un profumo di pulizia, un sentore profondo di igiene, forse alimentato anche da quei banconi lucidi e spesso metallici e da quei contenitori dal coperchio metallico che in estate proteggevano l’insuperabile leccornia di stagione: il gelato.
         Qui gli alcolici, e quindi i loro consumatori, non avevano cittadinanza, quindi il pomeriggio era facile imbattersi in famigliole intente a far merenda, a prendere il fresco seduti a quei quattro tavolini che l’esercente approntava per meglio accogliere la propria clientela e spesso, all’ora del desinare, dalla piccola cucina sul retro, giungevano invitanti profumi, perché alcune latterie a mezzogiorno preparavano qualche piatto caldo e senza pretese per ristorare gli operai  che lavoravano nei dintorni, o qualche frettoloso impiegato.
Erano piatti semplici della tradizione, gnocchi, Busecca, risottino, spesso al salto, qualche volta si poteva gustare una sontuosa Cassoeula e con poca spesa si imbastiva una sicura festa dell’anima.
               Chiaro il prodotto principe era il latte fresco, una volta non era ancora stato inventato quello a lunga conservazione e chissà perché c’erano molte meno intolleranze al latte di quanto non ci sia dato di percepire oggigiorno, e le latterie furono presenti a tutte le evoluzioni di packaging coi quali veniva venduta la nutriente bevanda, dalla bottiglia di vetro col tappo azzurro fino a quell’inverosimile invenzione che fu il tetrapak, chi non si ricorda negli anni Sessanta quella stupenda confezione di latte, realizzata a forma di tetraedro costruito su un triangolo isoscele, a imitazione, non si sa quanto voluta di un seno, che era scomodissimo da mettere in frigorifero. 

Il famigerato contenitore tetrapack, da una pubblicità dell'epoca

       E ancora in latteria si potevano trovare tutti quei prodotti che miscelati al latte potevano dar vita alle sontuose e golose colazioni dei bimbi buoni: cacao, Orzobimbo, Ecco, e, dulcis in fondo Ovomaltina, quella che come diceva una pubblicità dell’epoca “…dà forza..”, che ebbe una tal diffusione commerciale, ed un tal gradimento da parte delle mamme, da indurre l’azienda produttrice a crearne una versione solida il Cioccovo, che era una specie di barretta di cioccolato ripiena di Ovomaltina talmente compresso da risultare difficoltosissimo da masticare, in compenso era di una tal straordinaria dolcezza da attirare la carie e fare la felicità della corporazione dei dentisti.
       Oggi di latterie non ne esistono più , vuoi perché la nascita del latte a lunga conservazione e la sempre più invasiva  presenza dei supermercati ne hanno depauperato le funzioni, vuoi perché è scomparsa la generazione dei negozianti di latte, chissa perché ma non ci ricordiamo un solo lattaio giovane in quei negozi, sul finire degli anni Settanta si diffuse una breve ed effimera moda del Bar Bianco, dove si privilegiava la mescita di prodotti derivati dal latte, ma, ovviamente non era più la stessa cosa.
 Come locali legati alla bianca bevanda citiamo la Centrale del Latte, praticamente lo spaccio aziendale, luogo di ritrovo di anziani e pochi avventori in Viale Toscana dove è possibile passare del tempo giocando a biliardo o a bocce al suono dello zampillo di una timida fontana bianca e blu.
     In via Chiesa Rossa troviamo una Budineria, che come dice il nome è specializzata in quei particolari dolci, qui è facile assistere a performance di giovani musicisti in cerca di gloria.
            Sempre lungo le sponde del Naviglio, questa volta il Grande, in via Ascanio Sforza è ormeggiato il barcone della Cremeria Gelateria Musicale dove in una saletta separata si suonano madrigali, brani barocchi e rinascimentali.
         In via Eustachi si segnala la gelateria Slurp dove è ancora possibile gustare l’ormai rarissima cialda Croc fatta a mano.
        Non possiamo poi fare a meno di accennare alla presenza in città di tre negozi della catena Viel, specializzata in frappè, frullati, gelati e frutta.

Tabella Gelati Motta (Museo delle Glorie)
        
    Certo, sì, con il latte si fa anche il gelato e a Milano di gelaterie artigianali ce ne sono tante, tutte buone, ma noi vogliamo ricordare brevemente solo i gelati confezionati che potevi trovare nelle nostre beneamate latterie, scusandoci con qualche lettore se si farà dell’esercizio pubblicitario, del resto inevitabile.

Tabella dei Gelati Alemagna (Museo dell glorie)

 Era consuetudine pubblicizzare i gelati attraverso cartelli rettangolari in metallo serigrafato che sintetizzavano la produzione di una singola marca con una piccola descrizione e il relativo prezzo e che venivano esposti all'esterno dei luoghi di vendita.
       Fra i marchi più gettonati in città ricordiamo la Toseroni  Con il Pepito, oppure il Brr Blobs, Zio Tom, che erano in realtà due gelati a forma di faccia con il cappello e un farfallino al collo: uno con la faccia color panna, l'altro con la faccia cioccolato, il Piedone, un gelato stick a forma di piede, il Mercuri e il Nembo Gel, a forma di faccia che voleva rappresentare un supereroe con la mascherina.
Anche la Tanara teneva banco con due specialità: il Gran Kros e il Paciugo, mentre si andò rapidamente conquistando consensi il mitico Piper Algida, un gelato confezionato in un cilindro di plastica con il bastoncino, gusto base panna: con spirali marrone (al cioccolato) o bordò (all'amarena).

 
Il Mini Ball Eldorado, anni 60
  Il Razzo era un curioso gelato alla crema e cioccolato in un cono di plastica bianco con due alette laterali, della confezione facevano parte anche due elastici che, a consumazione finita, si agganciavano alle alette e permettevano di scatenare una battaglia con gli amici, un’idea della Motta.
All’epoca proliferavano tutta una serie di marchi che oggi sono scomparsi come Besana, Cecchi e Chiavacci (famosa per il Nocchiero Chiavacci, un granulato con anima di panna e amarena).
Una delle aziende più fantasiose e divertenti era Eldorado, di cui ricordiamo il Camillino, un biscotto che racchiudeva il gelato, il Banana, il Granata, inevitabile: a forma di bomba, il Moreno e il curiosissimo Miniball: confezione di plastica a forma di pallone da calcio  che si apriva togliendo uno degli esagoni del pallone:



           E poi: Lemarancio e Fiordifragola, Pinguino, l’Arcobaleno, che era un curioso ghiacciolo piramidale formato da strati di gusti e colori diversi, il gelato Puffo, la Coppa del Nonno….


(Estratto da "Milano Storie di vino e di Osterie" edizioni Selecta)



4 commenti:

  1. Inserirei un vero museo storico fotografico. O quantomeno indicherei dove poterlo consultare. Il solo trasporto del latte dai produttori alla Centrale, dai tempi dei carri trainati da bellissimi cavalli, risveglierebbe nostalgici intensi ricordi.

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  2. una bellissima storia della milano d'altri tempi: grazie

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  3. Chi sa come mai la Centrale del latte di Milano è stata venduta ?

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    1. Venduta perché L amministrazione comunale dell epoca ha deciso che nonostante fosse in attivo doveva disfarmene facendo gli interessi della Bocconi che ha sempre mirato all area per potersi ingrandire con i risultati ben visibili…..

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