domenica 18 agosto 2024

La Scomparsa Cascina Boffalora di via Tertulliano di Gabriele Dell'Oglio

Scorcio della Cascina Boffalora lungo la via Tertulliano prospiciente un tratto scoperto della roggia Gerenzana, anni 60, Archivio ACAdeMI


Nel Borgo di Calvairate, era presente, almeno dalla seconda metà del 1600, un gruppo di Cascine alla confluenza tra la Roggia Gerenzana (che tuttora presenta un tratto scoperto) ed il Cavo Ticinello.

La Cascina Boffalora di via Tertulliano in 2 immagini del 1983 Archivio ACAdeMI



Tale gruppo di cascine costituiva un vero villaggio agricolo nel territorio dell'antico borgo di Calvairate.
Stralcio mappa Clarici 1682


Il toponimo “Boffalora” è contrazione dall'antico volgare buffa l'aura, cioè soffia il vento che veniva dato a cascine in posizione aerata e particolarmente salubre.
Le cascine, la cui antica presenza è testimoniata dalla mappa Clarici del 1682, erano ancora integre almeno sino agli anni ’30 del secolo scorso.

Stralcio mappa Catasto Corpi Santi di Porta Venezia, fine '800


Stralcio mappa Vallardi con previsioni di PRG 1910


La progressiva espansione urbana ha fatto sì che nel dopoguerra, come i pezzi di un domino, le varie cascine siano cadute una dopo l’altra.
La prima ad essere demolita (prima del 1964) è stata la Cascina Boffaloretta, seguita, qualche anno dopo, dalla cascina Boffalora, che si trovava sul lato sud di Via Tertulliano.
Era “sopravvissuta” la Cascina Boffalora, che ancora nel 2008 appariva, se non in perfette condizioni, almeno in grado di essere recuperata.
La Cascina Boffalora da Google Street View nel 2008


Si noti che nelle foto è ben visibile la presenza di Pioppi Neri più che centenari, piantati dai contadini nel corso dell'800.

Aerofoto del 1964

Aerofoto del 1972

Purtroppo l’incuria ha fatto sì che lo stato di degrado progredisse irreversibilmente, per cui nella giornata del 15 Luglio 2021 anche l’ultima delle tre cascine è stata demolita, cancellando definitivamente un pezzo di storia secolare.

Via Tertulliano, la Cascina Boffalora a demolizione ultimata. Foto di Maurizio Petronio


giovedì 18 luglio 2024

La Gioconda a Milano di Roberto R.

 


Cartolina emessa in occasione della esposizione della Gioconda a Roma nel dicembre del 1813

Théophile Homolle, direttore del Louvre, temeva più i vandali dei ladri, e per questo motivo decise di ingaggiare il vetraio Gobier allo scopo di proteggere tramite lastre di vetro le opere esposte.
Fra le maestranze che lavoravano al progetto, per altro già concluso al tempo dei fatti in narrazione, vi era un certo Vincenzo Peruggia, originario di Prezzino, frazione di Dumenza in provincia di Varese, emigrato a Parigi nel 1907.
Ottimo suonatore di mandolino, la mattina di lunedì 21 agosto 1911, Peruggia si recò al Louvre; il lunedì è giorno di chiusura per il museo, quindi il momento migliore per accedere alle opere senza il disturbo dei visitatori.
Peruggia, passando per l’accesso riservato ai dipendenti ed operai, percorse un tragitto a lui ben conosciuto, avendolo percorso diverse volte mesi prima durante l’attività di posa dei vetri.
Percorse indisturbato i corridoi del Louvre fino a giungere al Salon Carrè , ed una volta entrato rimosse un quadro dalla parete, non uno a caso ma bensì la Monna Lisa di tale Leonardo di ser Piero da Vinci, meglio conosciuta come la Gioconda di Leonardo da Vinci.
Uscito dal salone, raggiunse una scala secondaria dove, in tutta calma, smontò il vetro protettivo, tolse dalla cornice la tavola di pioppo dipinta ad olio, e dopo averla avvolta nella sua giacca, con l’involto sotto braccio uscì serenamente dal museo; lungo il percorso di ritorno al suo appartamento, dove terrà nascosta la Gioconda per ben due anni, evidentemente sovraeccitato per il furto commesso, salì sul tram errato, e per ovviare decise di concedersi quello che per lui era un lusso: prese un taxi!
Arrivato finalmente a casa, nascose la Gioconda, dopodiché si recò al lavoro giustificando il suo ritardo con una presunta sbronza domenicale.


Stampa d'epoca, © Roger-Viollet, che raffigura Vincenzo Peruggia e il "Ratto della Gioconda"


Si trattò senza dubbio di un furto esageratamente semplice, pulito, lineare nel suo svolgimento, ed anche fortunato se consideriamo che venne scoperto solo 24 ore dopo, e non dal personale del museo, ma da tale Louis Béroud, un’artista che il mattino del 22 agosto di buon ora entrò nel museo raggiungendo il Salon Carrè dove era sua intenzione dipingere una copia del capolavoro di Leonardo.
Béroud, accortosi del vuoto tra il Matrimonio mistico di Santa Caterina del Correggio e l’Allegoria coniugale del Tiziano, chiese ad un guardiano dove fosse stato spostato il dipinto.
Il guardiano, che non sapeva cosa rispondere, a sua volta chiese ad altri guardiani, i quali ne sapevano meno di lui; le ricerche si allargarono anche al laboratorio fotografico, ai visto mai che … ma anche qui nulla!
Dopo una mattinata spesa in inutili ricerche, il direttore si decise a chiamare la polizia.
Le cronache narrano che sessanta gendarmi fecero immediata comparsa nel museo e per prima cosa fermarono e perquisirono tutti i visitatori, operazione che ovviamente non portò ad alcun risultato, come pure la successiva perquisizione palmo a palmo del museo, che resterà chiuso per una settimana.
I giornali pubblicarono la notizia solo il terzo giorno, mercoledì 23 agosto, scatenando il putiferio.
Sulla graticola finì per primo il direttore reo di non aver saputo organizzare un adeguato sistema di sicurezza per la protezione dei tesori custoditi al Louvre.
Anche la polizia venne messa sotto pressione, e nel tentativo di alleggerire la tensione effettuò i primi fermi fra cui ve ne furono due degni di essere ricordati.
Venne fermato un poeta francese, certo Guglielmo Alberto Wladimiro Alessandro Apollinare de Kostrowitzky, che solo un anno prima aveva inaugurato quella che sarà la sua attività di poeta, scrittore, critico d'arte e drammaturgo, pubblicando una raccolta di sedici racconti fantastici intitolati L'eresiarca & C, firmando l’opera con lo pseudomino di Guillaume Apollinaire (?!?!).
Incarcerato fu liberato dopo pochi giorni una volta appurata la sua completa estraneità.
Stessa sorte toccò anche ad un giovane pittore che iniziava a far parlare di se proprio in quegli anni; un artista umorale, che catalogava i suoi stati d’animo assegnando loro un colore, tanto che i critici catalogheranno i suoi dipinti come appartenenti al periodo blu piuttosto che al periodo rosa.
Cosa aspettarsi di diverso da un pittore così particolare, che non fosse l’aderire ad un movimento artistico d’avanguardia chiamato Cubismo, caratterizzato dalla scomposizione delle figure solide in forme geometriche.
Questo artista si chiamava Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno Maria de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz Picasso, per gli amici semplicemente Pablo Picasso.
La polizia certo non lo fermò per la sua originalità artistica, ma bensì perché aveva acquistato alcune teste scolpite nella pietra che risultarono trafugate proprio dal Louvre.
Anche per lui qualche giorno in cella e poi libero.
Per le sue indagini la Sûreté era in possesso di un indizio basilare per l’individuazione dei colpevoli, avendo a disposizione un’impronta digitale rilevata sulla cornice che Peruggia aveva abbandonato nel museo prima di uscire.
Per sua fortuna però i mezzi scientifici non erano ancora tali da consentire alla polizia di identificarlo, nonostante avessero prelevato ed analizzato le impronte dei 257 impiegati del Louvre, ma lui era un lavoratore esterno, e neppure la comparazione con il vasto archivio criminale a disposizione degli investigatori diede i suoi frutti, lui era incensurato.
Con il passare del tempo la polizia allargò il campo delle indagini a tutti coloro che avevano avuto a che fare con il museo, fino ad arrivare a bussare alla porta del Peruggia.
L’ispettore lo interrogò mentre gli altri poliziotti frugavano qua e là nella piccola stanzetta, senza però trovare nulla; alla fine il commissario, seduto al tavolino sotto il quale era nascosto il capolavoro di Leonardo, compilò il verbale e se ne andò.
Di Monna Lisa non si seppe più nulla per un paio di anni durante i quali Peruggia probabilmente tentò di contattare qualche mercante o collezionista d’arte francese, senza arrivare a concludere nulla.

Un Leonardo frastornato accompagna una Monna Lisa civettuola con tanto di borsetta, guidando la carrozza verso Brera, fra ali di folla acclamante.


Il 9 dicembre del 1913, troviamo Peruggia in viaggio, direzione Milano, con la Gioconda avvolta in un panno di velluto rosso e nascosta in un doppio fondo del suo baule sotto strati di biancheria, che poté così passare indenne la frontiera.
A Milano si fermò pochi giorni per proseguire poi alla volta di Firenze, dove aveva fissato un appuntamento con un mercante e collezionista d’arte, Alfredo Geri, contattato pochi giorni prima scrivendogli che “Il quadro è nelle mie mani, appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano”, ed avanzando la richiesta di un compenso pari a 500.000 lire quale rimborso spese.
Luogo dell’appuntamento la stanza della pensione Tripoli dove il Peruggia alloggiava.
All’ora stabilita, Geri si presentò accompagnato da Giovanni Poggi, allora direttore degli Uffizi.
Peruggia mostrò la tavola ed accondiscese alla richiesta di lasciar soli i due esperti affinché potessero in tranquillità attestarne l’autenticità; al suo rientro trovò la polizia ad attenderlo.
Venne processato dal tribunale di Firenze il 4 e il 5 giugno dell’anno successivo.
Il Peruggia sostenne di aver operato per il recupero di un’opera d’arte che egli, a torto, riteneva appartenesse all’Italia.
Grazie alla simpatia da parte della opinione pubblica, simpatia dovuta alla finalità patriottica dichiarata dal Peruggia, ed in considerazione della sua conclamata ingenuità, ottenne una pena lieve, un anno e 15 giorni , poi ridotta a sette mesi e otto giorni di prigione ma subito scarcerato dopo la sentenza.
Come era ovvio aspettarsi la Francia reclamò immediatamente la restituzione del dipinto.
I rapporti tra i due paesi erano molto amichevoli, per cui quasi in segno di riconoscenza per averlo ritrovato, la Francia concesse che prima del rientro, Monna Lisa effettuasse un tour turistico nelle città di Firenze, Roma e Milano.
Facendo un piccolo passo indietro nel tempo e tornando al periodo immediatamente successivo al ritrovamento, mi taccio e lascio che sia Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera dal 1908 al 1934, a narrare i fatti attraverso alcuni brani tratti dal libro edito da Skira nel 2019 “Ettore Modigliani Memorie”.
“… ora il capolavoro trovasi al sicuro in deposito agli Uffizi.
Ma sarà la vera Monna Lisa? Non sarà una copia? Una copia fatta per stornare le indagini sulla vera “Gioconda” nascosta? Corrado Ricci, Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti corre a Firenze
e conduce seco Luigi Cavenaghi, il principe dei nostri restauratori di antiche pitture,con qualche altro esperto. E viene la parola rassicurante:
nessun trucco, nessun dubbio: “L’è lee, l’è lee”
aveva detto Cavenaghi”
Come detto la Gioconda viene esposta a Firenze ed a Roma, per poi proseguire verso Milano.
E’ Modigliani a scortare il dipinto durante il viaggio ed è a lui ed a Paul Leprieur, Direttore del Dipartimento delle Pitture al Louvre, che Corrado Ricci si rivolge raccomandando :
“ Domattina a Rogoredo, prima di scendere, aprite la cassa e vedete se c’è. La “Gioconda” è capace di tutto, capace di tutto...Quello non è un quadro, è una donna ...”
Un cielo cupo accoglie a Milano Monna Lisa, che la mattina del 29 dicembre 1913 varca la soglia di Brera :
“ Verso le otto, dissipatesi le tenebre, si apre la cassa: ecco Monna Lisa. Tutti si avvicinano, guardano, ammirano, qualche conoscitore sfodera una lente, ma non c’è tempo da perdere: prendo la tavola famosa e mi avvio col codazzo dei convenuti nella sala IV, colloco il quadro sul cavalletto apprestato dinanzi al Tintoretto coperto, ma solo in parte, da un drappo di velluto, per evitare confronti immediati e non far imbruttire la “Gioconda”. Ci allontaniamo tutti di qualche passo. Il mio sguardo cade sul volto di Silvestri per cercarvi un’impressione (“sem tuc matt ...”). È esangue, quasi terreo; io stesso mi sento impallidire. Oh magia! il quadro, che avrebbe dovuto essere ucciso dalla vicinanza dei massimi coloristi veneziani, li uccide tutti.”
L’orario di visita prevedeva che le visite a pagamento fossero consentite fra le 10,00 e le 17,00, al costo di una lira a biglietto.
100 biglietti furono venduti nel primo minuto di apertura, per arrivare a 18.000 biglietti venduti al rintocco delle 17,00.
Dietro precisa direttiva governativa alle 5 del pomeriggio l’entrata doveva esse libera per consentire anche ad operai ed impiegati di rendere omaggio all’opera del grande artista; e qui cominciano i guai: “...le cose, da comiche, minacciano di diventare tragiche. Il pubblico, al chiudersi delle officine e degli uffici, comincia ad affollarsi dinanzi all’ingresso del palazzo; poco dopo è già necessario sospendere il servizio tranviario in via Brera, la Piazzetta è tutta nera di folla, e altra e altra ne sopraggiunge dal Duomo, da via Solferino, da Pontaccio, da Fatebenefratelli.
…verso le 22 incominciano i primi lamenti, le prime grida sulla Piazzetta.
… La Piazzetta di Brera è un mare in tempesta, in specie di donne – curiosità, il tuo nome è donna! – e altre fiumane di gente irrompono minacciando di schiacciare le prime migliaia sulla parete di fondo della piazza, priva di altra uscita.”
E’ necessario l’intervento dei Bersaglieri e di un’autopompa dei vigili del fuoco per diradare la folla e riportare un po’ d’ordine.
L’afflusso riprende con maggior ordine fino alle tre del mattino : “Bilancio della notte: sessantacinquemila persone contate nel passare dinanzi al quadro; le due portinerie e qualche ufficio a pianterreno ridotti a infermeria; la Piazzetta e la corte del Palazzo simili a un campo di battaglia, cosparso di centinaia di indumenti maschili e femminili. Monna lisa, nella sua maschera impassibile, che dopo quanto era successo appariva fino cinica, era condotta alle quattro antimeridiane nel mio studio, e io, affranto dalla stanchezza e anche un po’ emozionato ... passai il resto della notte con lei. “Ora, mia cara – le dissi mentalmente – ci sei. Tu ieri e stanotte sei stata di tutti. Adesso, per due ore, devi essere mia, solo mia. Quando mai una simile opportunità? Oggi o mai più, quando starai sotto gli occhi di quegli Arghi, che abitualmente ti vigilano e più ti vigileranno, dopo il ratto, in avvenire. È il meno che puoi fare dopo tante pene che mi hai dato ... Nella quiete silente della notte invernale, poggiai il ritratto sopra un cavalletto basso, con due riflettori ai lati, di quelli a luce opalina che servono appunto per l’esame dei quadri, e mi sedei su uno sgabellino, a tu per tu col capolavoro.
Lo girai, lo rigirai: dritto, rovescio, legno, impronte, screpolature, tecnica, stato di conservazione, le ultime rifiniture, restauri: tutto indagai, di tutto cercai di rendermi conto, tentando di penetrare nelle più intime fibre della pittura. Con che risultato? Nulla di peregrino, salvo due ore di piacere artistico, quale credo di non aver mai provato nella mia vita.”
E’ tempo di rendere il dipinto ai suoi proprietari (purtroppo !).
Modigliani ne organizza il rientro in treno, ma preoccupato per la vasta eco provocata dall’evento, nonché dai problemi di ordine pubblico della notte precedente, allo scopo di fuorviare stampa e curiosi decide di :
“… diffondere la voce che si va via a sera tarda, ed intanto risolviamo di andarcene verso le diciotto quatti, quatti, col dipinto a casa mia eludendo la vigilanza di reporters e di curiosi e senza molesti codazzi di gente; là prendere un po’ di cena in tranquillità e poi avviarsi nascostamente alla stazione.
… Ho le traveggole? Vedendo io innumerevoli volte la “Gioconda” ammirata ed adorata al Louvre
da un pubblico internazionale, da tante Misses e Fraülein in rapimento, che, per estasi, suggestione o snobismo coprivano i piedi del cavalletto di petali di rose e di viole, avrei mai pensato di poter dire a me stesso: “Ebbene, un giorno questo quadrò uscirà da qua dentro, tornerà in Italia, verrà a Milano, salirà le scale di casa tua e passerà due ore sul sofà del tuo salotto?”


L'illustratore titola questa cartolina "Arrivo della Gioconda a Milano", ma a parer mio era più corretto intitolarla "Partenza della Gioconda da Milano" visto l'intervento di una nota azienda specializzata in trasporti internazionali. Leonardo dall'alto del basamento del monumento a lui dedicato, ed i suoi discepoli a lui intorno, paiono salutarla.
Il volto che sostituisce il muso del cavallo è quello del Peruggia, che mesto riporta l'opera là, dove l'aveva "prelevata"

La Gioconda lascia la stazione di Milano alle 22,00, sempre accompagnata da Modigliani : “Alla stazione di Modane, da poche ore entrato il 1914 – l’anno della tragedia – firmiamo l’atto ufficiale di riconsegna del capolavoro, poiché da questo momento esso viaggerà a rischio e sotto la responsabilità del Governo Francese. Ci serviamo per tavolo della cassa col quadro, e sono testimoni due doganieri nel compartimento illuminato dalla fioca luce di un candelotto, essendo l’elettricità venuta a mancare improvvisamente nel treno per l’alta neve: Monna Lisa è di nuovo in possesso della Francia, dei tardi eredi di Francesco I che l’aveva comprata a Firenze.”


Testo e immagini per gentile concessione di Roberto R. tratti dalla sua pagina FB "Le Cartoline di Roberto" https://www.facebook.com/profile.php?id=61550923509788

lunedì 8 luglio 2024

Quel Perduto Amor....di Museo Martinitt e Stelline

Foto di gruppo per una classe di Martinitt, scattata nel 1932 quando ancora la sede era in San Pietro In Gessate, Foto Archivio Museo Martinitt e Stelline per gentile concessione di Renato Marelli

sabato 6 luglio 2024

Il Mulino della Simonetta di Roberto Bagnera

Cortile di via Mac Mahon 14

Servizio fotografico di Tosca Woolvanberg

Via Mac Mahon 14, un cortile che ospita alcuni studi di scultura e design rivela una storica origine, si tratta del cinquecentesco Molino della Simonetta, laddove ferveva un'attività di taglio delle lastre di marmo che sarebbero poi state destinate ad abbellire le facciate di molteplici palazzi signorili in città. Nell'androne alcuni graffiti raffigurano l'inconfondibile skyline storico di Milano, con le guglie del Duomo, il mulino stesso e le attività da esso ospitate nel cortile detto "degli scultori".















Conosci Milano: Piazza Giuseppe Occhialini 2 di Roberto Bagnera

Fronte della Villa in uno scatto del 1984, Archivio ACAdeMI - Roberto Gusmaroli, quando risultava al civico numero 10 di via Giuseppe Colombo

In zona Città Studi è sita un'elegante villetta risalente agli anni 20 del Novecento, con particolarità architettoniche che inducono a pensare vi sia la mano del famoso architetto Piero Portaluppi.

 



Fronte su Piazzale Occhialini, foto del 2023 di Antonio Carizzoni 

Particolare del cancello di ingresso, foto del 2023 di Antonio Carizzoni

È in stato abbandono da due anni, a seguito di un avvenuto  passaggio di proprietà, si vociferava di un tentativo di costruzione di nuovo condominio e di conseguenza che il famigerato piccone demolitore fosse incombente anche su questa costruzione, ipotesi caldamente osteggiata nel quartiere dove è in corso un tentativo per ritardare l'eventuale iter proponendo l'istituzione dello status di colonia felina (nel giardino vivono alcuni gatti). 

Viste prospettiche e dettaglio del giardino nella parte posteriore della villa, foto del 2023 di Antonio Carizzoni




L'interno è sontuoso, ricco di marmi e tappezzeria in seta, entrando c'è una scenografica scala con una vetrata con disegni a piombo alta almeno 6m. 

La scenografica scala in una foto dal sito Homesolution Milano

La villa è altresì dotata di una taverna dove ai tempi in cui era ancora abitata, aveva trovato posto un modellino ferroviario che riproduceva un paese intero, al piano terreno c'era la cucina, una sala da pranzo per 20 persone con un Bo Window bellissimo fatto tutto di vetrate e pieno di piante, poi c'era il salotto per ricevere, un altro salottino per i più giovani, uno studio, e una sala TV, al primo piano ci sono 4 bagni e 6 camere da letto compresa la padronale, e all'ultimo piano una mansarda con cucina 3 camere e due bagni più una cabina armadio grande. Tutta arredata con marmi pregiati e seta, i mobili tutti d'epoca. 

Scorcio della villa all'angolo con via Giovanni Colombo, Foto del 2015
Archivio ACAdeMI - Roberto Bagnera


(Ringraziamo Guido Codecasa e Masha Alessandra Peveri per le preziose informazioni)


venerdì 5 luglio 2024

Conosci Milano: Via Varesina 7 di Roberto Bagnera e Luciana Furiosi

Spesso la frenetica attività del nostro quotidiano vivere ci nasconde testimonianze di un passato, neanche troppo lontano, quando il tempo fluiva in modo diverso e con ritualità che oggi non esercitiamo più. 

I tempi moderni ci hanno regalato delle comodità ormai irrinunciabili e ci fermiamo con stupore davanti alle antiche foto che ci raccontano delle sciostre, ovvero quelle rivendite di legna e carbone, spesso ubicate lungo i navigli, dove i Milanesi d'antan si approvvigionavano di quanto utile per il riscaldamento delle proprie magioni.

Anche le periferie estreme della metropoli ricordano e conservano tracce di quelle consuetudini, la via Varesina, testimone di uno storico tracciato viario di origine romana, al numero civico 7 ci rivela un edificio vetusto, oggi sede di un antiquario che era un tempo sede di una sciostra, gestita dal carbonaio Parabiaghi.

Via Varesina 7, l'edificio che oggi ospita un antiquario, un tempo sede del Carbonaio Parabiaghi











giovedì 4 luglio 2024

Conosci Milano: Piazzale Brescia 10 di Roberto Bagnera e Andrea Verduzzo

 Come troppo spesso accade non ci sono notizie precise dedicate a questo singolare edificio posto in piazzale Brescia all'angolo con la via Lorenzo di Credi, contraddistinto da un gusto eclettico che ripercorre nell'impianto costruttivo e decorativo elementi di stili architettonici del passato.

Elemento sicuramente di spicco è la meridiana, lato piazzale Brescia, che presenta un quadrante suggestivo e decisamente insolito.

Voci di quartiere narrano che questa villa fosse stata un comando della Wermacht tedesca durante l'occupazione nazista di Milano dell'ultima guerra, attualmente è residenza di un noto personaggio televisivo.