giovedì 21 marzo 2019

Vietato Attraversare i Binari all'Acquabella di Silvio Gallio


20 Agosto 1850  Investimento di persona sulla linea Milano-Treviglio

Sai com’è, quando ti capita per le mani un breve trafiletto che parla di cose un po’ particolari? Cominci a girarci intorno, a cercare lati e angoli diversi dal solito. E poi pensi che non tutti lo avranno letto e ancora meno ne potrebbero trarre gli stessi … insegnamenti (?). Ti metti, allora, alla tastiera e butti giù qualche schizzo.
Ecco, così. Per passatempo. Chissà cosa salta fuori?
Accadde leggendo una breve di cronaca sulla Gazzetta di Mantova del 21 agosto 1850, un trafiletto che informava del penoso incidente ferroviario accaduto il giorno prima. A Milano. Anzi, appena fuori Milano.

Il trafiletto:
“Su questo tronco di strada ferrata Lombardo-Veneta si ebbe jeri a deplorare una sventura all’ultima corsa di partenza da Milano a circa un miglio dalla Stazione di Porta Tosa. Un individuo che fu riconosciuto per Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone, da un sentiero era salito sull’argine della ferrata, nel mentre soprarrivava il convoglio.
Invano il reggitore della Locomotiva e un guardiano ivi vicino fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo; ma quell’infelice, mentre la locomotiva gli era vicinissima, di nulla accorgendosi, fattosi ad attraversare la ferrata, ne venne colto e rovesciato a terra estinto.
Tuttochè si presumi [sic] che fosse per lo meno sordissimo, l’I.R. Luogotenenza, non ravvisò in ciò una sufficiente giustificazione del reggitore della locomotiva, che trascurò di fermare la macchina, ed ha quindi ordinato la più rigorosa procedura a termini di legge”.

Storia e geografia
Milano, nel 1850, era ancora chiusa dentro i Bastioni. Tutt’attorno, come una caramella col buco c’era il Comune dei Corpi Santi costituito da paeselli e cascine. Le mura e le porte della città venivano attentamente controllate dalla polizia asburgica. Questa magari, visti i tempi e le antipatiche attività di Carlo Alberto di Savoia-Carignano giusto un paio di anni prima, e visto che un sacco di gente, sotto sotto, mormorava, in quel periodo si impegnava in controlli più stretti e attenti.
Gli ufficiali, superiori e non, erano austriaci; le truppe erano per lo più croate e nessuno dei due gruppi amava l’Italia dopo gli scherzetti che questa stava combinando da quando, mezzo secolo prima, Napoleone si era fatto vivo da questa parte delle Alpi. E non pensiamo che avessero gradito e dimenticato le bastonate ricevute in cinque giorni a Milano nella seconda metà di marzo del 1848. Insomma, tirava brutta aria.
Tanto occhiuta era la polizia asburgica da aver ottenuto, già da tempo, che la costruzione delle stazioni ferroviarie fosse effettuata fuori dalle mura. Nemmeno Carlo Cattaneo, che qualche conoscenza pure ce l’aveva, era riuscito a portare il treno in Piazza Fontana, come pensava fosse utile alla cittadinanza e alla società ferroviaria di cui era segretario per la Direzione lombarda. Rabbrividiamo!
Bisogna capirli quelli della Polizia; dal 1842, dopo il terribile deragliamento con incendio del treno avvenuto a Meudon, in Francia, con i suoi 55 morti e oltre 100 feriti gravi, non si potevano più chiudere a chiave i passeggeri nelle loro carrozze. Una stazione entro le mura e questa libertà di sportello avrebbe favorito un patriota bombarolo che poteva saltare giù dal treno, al volo, subito dopo averle passate, quelle mura. Quindi, la stazione doveva stare fuori dai Bastioni. Se proprio voleva andare a Milano, il pericoloso rivoluzionario poteva regolarmente scendere dal treno alla stazione fuori città, caricarsi delle armi o della polvere pirica e provare ad entrare attraverso una delle porte, sotto i sospettosissimi e perforanti occhi di gabellieri e poliziotti.
Non che fosse solo colpa della polizia, c’erano anche altre motivazioni per tenere i treni fuori dalla città, per esempio il fumo, lo sporco, il rumore e qualche decina di ferrovieri sudati e affumicati che, a due passi da Duomo, bisogna proprio che lo dica, non sono mica un bello spettacolo, signora mia.
Sta di fatto che, mentre la Direzione della Ferdinandea era comodamente piazzata in Contrada del Monte 870/A e quella della linea di Como era in contrada della Galline 1696, gli affumicati che arrivavano da Monza (e poi Camerlata) vennero tenuti fuori Porta Nuova e quelli che arrivavano da Treviglio dovevano restare oltre Porta Tosa.
Questa seconda stazione è la più interessata all’incidente ferroviario.

Analisi del primo paragrafo
“Su questo tronco di strada ferrata Lomb-Veneta si ebbe jeri a deplorare una sventura all’ultima corsa di partenza da Milano a circa un miglio dalla Stazione di Porta Tosa. Un individuo che fu riconosciuto per Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone, da un sentiero era salito sull’argine della ferrata, nel mentre soprarrivava il convoglio”.
A Porta Tosa nasceva la linea che doveva arrivare a Venezia ma che si stava lentamente allungando solo sul territorio Veneto perché gli azionisti non riuscivano a mettersi d’accordo su quale dovesse essere il percorso della tratta da Treviglio a Brescia. È un’altra lunga storia e poco entra nel percorso del discorso in corso. (Parentesi: Umberto Eco diceva di evitare questi giochi verbali ma io non sono lui e poi ho appena riletto “Il nome della rosa” e di questi giochetti di parole ne fa a bizzeffe. Lui).
Per undici anni il binario si accontentò di partire dal bastione di Milano e terminare a Treviglio, una trentina di chilometri appena. Non essendovi alcun proseguimento su rotaie, le merci e i viaggiatori dovevano allora lasciare il treno, salire su carri e carrozze stradali e trottare fino al punto in cui era giunta la ferrovia per poter riprendere il viaggio sul nuovo, celere e sbuffante mezzo di trasporto.
Dieci anni dopo la costruzione e l’apertura di questa tratta, cosi la racconta Bonghi ricordando il lavoro di Valentino Pasini in La Vita e i Tempi Valentino Pasini:
“La svoltata [la deviazione Treviglio-Bergamo-Coccaglio n.d.a.] è così bizzarra e strana, che vi si surroga a occhi veggenti un angolo acuto a una linea retta, e con tanta perdita di tempo e di denaro, che a Treviglio si può scendere dal treno, e, con un buon cavallo, andarlo ad aspettare a Coccaglio: mostruosità davvero unica al mondo”.
Naturalmente con queste ristrettezze organizzative non è che il traffico potesse evolversi. La tratta rimase a semplice binario fino a quando, pur facendo una larga deviazione su e giù per Bergamo, la ferrovia non venne terminata e Venezia fu collegata con Milano. Solo allora si iniziò a mettere mano al raddoppio. Sicuramente dopo l’ottobre del 1857, forse all’inizio del 1858.
Nel frattempo, il traffico dei treni viaggiatori era limitato a tre o al massimo quattro coppie di convogli. Quanto alle merci, non è chiaro quanti treni così classificati circolassero ma, poiché in genere tale trasporto veniva effettuato con treni classificati “misti”, ovvero merci e viaggiatori, probabilmente poteva essere necessaria una coppia ogni tanto o qualche convoglio straordinario.


1 -Grafico Milano-Treviglio 1850 - le barre rosse segnalano spazi temporali più ampi.

Col che si può capire come fra un treno e l’altro esistessero degli intervalli di tempo anche di alcune ore. Tutta quella strada, bella, dritta, e ferrata per giunta, e nemmeno un carretto o una coppia di buoi! Uno spreco.
Non ci stupiamo, allora, che in un momento storico in cui i treni erano una delle maggiori novità (la linea Treviglio, in particolare, era aperta da soli quattro anni), chi volesse attraversare i binari e non ne fosse limitato dalla guida di un carro non si curasse certo di cercare un passaggio a livello. A ben vedere un simile comportamento ha perfino qualche carattere di logica. Facile ragionare come segue:
Ma come, fino a qualche anno fa io percorrevo gli stessi viottoli, disegnati fra un campo e l’altro, che avevano percorso i miei avi e adesso che mi ci hanno costruito quella lunga muraglia di terra attraverso, non posso almeno scavalcarla? Che poi non è che la muraglia serva a molto, quel mostro di ferro che butta fumo e corre come un dannato si vede solo ogni tanto e io dovrei fare tutto il giro? Ma mica sono matto!”
Indipendentemente, però, dalla legalità e dalla correttezza del comportamento del malcapitato contadino girovago ed accattone mi è venuto in mente di cercare di approfondire. Sarà che ho dovuto scrivere un sacco di rapporti per anormalità del traffico che ne sento la mancanza. Incredibile, vero?
Per cominciare, orario e località. Poi modalità e riflessioni.
Come si è detto, siamo sulla Milano-Treviglio a circa un miglio dalla stazione ed è l’ultima corsa da Milano. Il giorno del fattaccio è il 20 agosto 1850 e scopriamo che si tratta di un martedì.
Cerchiamo di stabilire che ora fosse. Basta prendere un orario ferroviario e vedere a che ora partiva da Milano l’ultima corsa per Treviglio.
Semplice a dirsi. Perché invece, eccone uno proprio di quell’anno:


 2 - Scansione tratta da "Bradshaw's Guide" del 1850.
Tradotto: “Milano-Treviglio, 18 miglia, treni molte volte al giorno”. Viva l’informazione! Viva la precisione!

Scopriremo con la figura 3 che i treni previsti in orario erano quattro in una direzione e quattro nell’altra. Che otto treni fossero considerati “molte volte al giorno” dà la misura del punto di vista.
Per il resto d’Europa, già da anni Bradshaw’s Guide da cui la precedente immagine è stata tratta, proponeva gli orari tabulati come ancora oggi siamo abituati a vedere con le ore e i minuti anche nelle stazioni intermedie e treno per treno. Per nostra fortuna in una biblioteca di Vienna è conservato un orario proprio del 1850. Da questa fonte abbiamo ritagliato (virtualmente, eh!) la pagina relativa alla Milano Treviglio che mostra tutto il traffico viaggiatori in quel ferroviariamente travagliato anno.

3 – Partenze e prezzi della ferrovia Milano-Treviglio - 1850.

Si possono trarre varie informazioni da questa scarna immagine (che ho leggermente restaurato). Per ora limitiamoci a osservare che nel 1850 l’ultimo treno (l’investitore) partiva da Milano alle 6.00 del pomeriggio. Ovvero alle 18.00. Siamo così in grado di dedurre con una buona approssimazione l’ora in cui accadde il deplorevole avvenimento.
Poiché l’investimento di Girolamo Bianchi è avvenuto a “circa un miglio dalla stazione”, alla velocità che i treni dell’epoca riuscivano a sviluppare, specialmente in fase di partenza, non poteva essere stato molti minuti dopo aver lasciato la stazione di Porta Tosa.
Sventura: l’orario che abbiamo non ci informa sulle fermate nelle stazioni intermedie. Ma da altre fonti consimili sappiamo che, nell’anno successivo e per altri anni ancora, il tempo di percorrenza da Porta Tosa a Limito, prima stazione con fermata, era di circa 18-20 minuti. Per una distanza di circa 10 Km. Un breve calcolo ci dice che il treno avrebbe percorso in circa tre-quattro minuti la distanza di un miglio (italiano di 1852 metri).
Ne deriva che il malcapitato contadino girovago e accattone perse la vita attorno alle 18.05 di quel triste 20 agosto 1850 sotto le ruote -che sfortuna- dell’ultimo treno che partiva da Milano che era anche il penultimo della giornata. Quello precedente -verso Milano- era passato due ore prima e l’ultimo-ultimo, essendo quello che da Treviglio tornava a Porta Tosa, sarebbe transitato, salvo complicazioni, verso le 20.15. Due ore dopo.
Ci vuole della mira per finire arrotato alle 18.05!

Analisi del secondo paragrafo:
E ora proviamo a determinare in quale punto il povero signor Bianchi ebbe a perdere la vita in modo tanto miserando. Continuiamo nella lettura:
“Invano il reggitore della Locomotiva e un guardiano ivi vicino fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo; ma quell’infelice, mentre la locomotiva gli era vicinissima, di nulla accorgendosi, fattosi ad attraversare la ferrata, ne venne colto e rovesciato a terra estinto”.
Continuiamo l’esame del testo notando che viene segnalato un altro dipendente della società ferroviaria: il guardiano che era lì vicino era un ferroviere, dipendente della Società Ferdinandea. Stava lavorando, non era un cittadino che faceva la guardia a qualche campo o fienile.

4 - Vignetta contro il cavalcavia di C.so Buenos Aires. In alto a sinistra un guardiano espone il segnale.

Funzionava così: per aiutare i macchinisti nella guida il più possibile sicura, veniva scaglionata a distanze opportune una serie di guardiani (nell’immagine del 1857 eccone uno in alto a sinistra con la bandiera) e si offriva loro l’alloggio nei famosi “caselli” (ecco uno dei perché furono costruiti ovunque). Dato lo scarso traffico, la funzione dei guardiani era duplice:
-         Tenere sotto controllo lo stato fisico della struttura (deviatoi, binari, cuscinetti, traversine, massicciata, opere d’arte) con costanti visite della linea nella tratta assegnata;
-         Quando presenti passaggi a livello, bivi e sedi di incrocio, gestirne la chiusura e apertura e la posizione dei deviatoi.
-         Informare il macchinista sullo stato del traffico, tramite una serie di segnali fatti con bandiere, lanterne o altre attrezzature. Se un treno era fermo o comunque transitato da troppo pochi minuti doveva arrangiarsi a conformare la velocità in relazione all’orario di servizio, ma avendo la sicurezza che nessun treno era transitato in quel punto da meno di un lasso di tempo predefinito: in genere 5 minuti.
Ogni società ferroviaria determinava un suo proprio regolamento per i segnali, ad esempio, la gestione degli incroci per le tratte a semplice binario.
Per la linea Milano-Treviglio, anche se era ancora a semplice binario, il problema degli incroci non si poneva nel modo più assoluto. Come vediamo nel grafico di figura 1, le corse erano congegnate in modo tale che, al materiale del treno che partiva da Milano, una volta giunto a Treviglio veniva manovrata la locomotiva dalla testa alla coda e il treno ritornava a Porta Tosa. Il treno stesso si portava la “via libera”, non c’erano altri treni nella tratta. Tanto meno a sera inoltrata.
Non è questo, però, il momento di estendere troppo il discorso; stiamo cercando di determinare il punto di impatto. La citazione della presenza di un guardiano ci offre un’indicazione importante. Parafrasando: “il guardiano, dov’era costui?”
Partendo a Porta Tosa esistevano vari caselli. Per il primo, la distanza dagli scambi estremi della stazione era piuttosto breve, circa 900 metri, ma, poiché il terreno che occupava l’impianto della stazione era a sua volta di lunghezza notevole, il Fabbricato Viaggiatori, quello che comunemente viene definito “stazione”, si trovava a circa 1.600 metri; poco meno di quei 1852 metri che formano il “circa un miglio” di cui parla l’articolista.

5 - Area interessata al tragico evento
Con tutta probabilità -le multe erano pesanti- sapendo che il treno stava arrivando, il guardiano era lì impalato per segnalare “via libera”. Poi, avendo visto il Bianchi cercare di attraversare, deve essersi mosso per cercare di “fare tutto che era in lui” per salvare il poveretto.
Alle 18.05 di una sera d’agosto, anche senza ora legale, la luce naturale non manca e, se il guardiano non è riuscito ad arrivare al povero bracciante questi non doveva essere proprio vicino. Oppure gli è apparso all’ultimo momento!
L’articolista ci informa che il Bianchi è arrivato alla ferrovia seguendo “un sentiero e fattosi ad attraversare la ferrovia”, quasi certamente intendeva proseguire sulla continuazione posta sull’altro lato: non ci rimane che andare a cercare una simile posizione.
Per prima cosa il rilevato.
Ci è pervenuta una foto di una partita di calcio scattata attorno al 1905. Il campo di gioco era a ridosso del vecchio “argine” della ferrovia, abbandonata da anni ma non ancora del tutto eliminata.

6 - Partita di calcio del 1905-6 lungo il rilevato ferroviario, Campo dell'Acquabella

Come si vede, un ottimo spalto per chi volesse avere un’ampia visuale della partita. Ma ottimo anche per celare allo sguardo chi si trovasse dalla parte opposta.
Ora, il tratto fotografato non è proprio a ridosso del casello ma nemmeno molto lontano. Gli attenti studi degli amici di Skyscrapercity, il noto forum di informati e selettivi appassionati di Milano, ci permettono di posizionare questo campo nei pressi del rettangolo verde disegnato in figura sotto. Per dare un riferimento attuale, la strada tracciata sotto il rettangolo verde diventerà via Archimede e quella sulla destra del rettangolo sarà via Piolti de’ Bianchi. Tenuto conto del cognome dell’investito, la cosa è piuttosto singolare.
7 - Aerogramma dell'area (1917) - Si possono ancora vedere i resti della linea.

Intendiamoci, l’investimento non è avvenuto in quel punto; dalla punta scambi estremi della stazione a quel campetto si misurano 400–450 metri. Ce ne vogliono altrettanti per arrivare nei pressi del casello ma, proprio per la vicinanza, la massicciata non poteva essere di molto diversa altezza.
Questo cosa comporta?
Rileggiamo il primo pezzo di trafiletto:
Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone, da un sentiero era salito sull’argine della ferrata, nel mentre soprarrivava il convoglio.
Non sappiamo in quale direzione si muoveva lo sventurato ma se il guardiano era -come da regolamento- sulla porta del suo casello, poteva aver visto il bracciante girovago solo all’ultimo momento, dopo che questi era salito sulla sede ferroviaria provenendo dalla parte opposta del rilevato e diretto verso nord in direzione della Cascina Acquabella IV che distava poche decine di metri.
Il guardiano vede allora apparire la sagoma del pedone che si è già arrampicato sulla massicciata pochi secondi prima dell’arrivo del treno. Quasi impossibile intervenire fisicamente senza essere definito “eroe” sul giornale del giorno seguente. Alla memoria. Unica speranza era di attirare l’attenzione del pedone e del “reggitore” con suoni, urla e gesti.
Questo terzo dettaglio ci permette di determinare con assoluta precisione dove Girolamo Bianchi ha perso la vita. Dobbiamo trovare un sentiero che fosse stato tagliato in due dall’argine della ferrovia, il taglio doveva essere nei pressi di un casello da guardiano posto a meno di un miglio (italiano) dalla stazione.
Chissà quanti sentieri, viottoli, tratturi e cavedagne sono stati tagliati dalle strade ferrate. Qualcuno si è salvato per la costruzione di ponticelli che permettessero il passaggio di carri agricoli, altri sono stati semplicemente chiusi: un tacito invito ad attraversare la linea, visto anche lo scarso traffico.
Dove trovare allora, a circa un miglio dal Fabbricato Viaggiatori, un tratturo che fosse tagliato dal rilevato ferroviario e vicino a un casello?
Non è impossibile.

 8 - Pianta dell'area dell'incidente - Mappa catastale 1866.

Ecco la mappa catastale del Comune dei corpi Santi di Porta Vittoria che mostra più in dettaglio il casello e il tratturo che, partendo dall’aia della Cascina Acquabella IV, scendeva verso i fontanili “gemelli” detti “di San Gregorio” e “dell’Acquabella” fino a lambire il casello n° 1. (L'amico Ing. Gabriele dell'Oglio mi ha insegnato che il tratteggio a cavallo di una linea di confine indica un vialetto interpoderale, cioè al servizio delle proprietà confinanti). 
Questa mappa però, non mostra un proseguimento del tratteggio a sud della linea ferroviaria saremmo autorizzati a pensare ad un viottolo di servizio tracciato per permettere agli abitanti del casello di accedere a casa loro. Ma una seconda mappa dell’area, posteriore di 20 anni circa, ci permette di vedere come il viottolo si prolungava a sud della ferrovia. Abbiamo così la posizione esatta del punto di impatto, in relazione a quanto oggi presente sul terreno.
Scopriamo allora che il malcapitato Girolamo Bianchi è stato “rovesciato a terra estinto” nei pressi di Piazzale Susa. Lato sud. Nell’immagine sotto vediamo la particella 1213 adiacente al marciapiede di Piazzale Susa, la curva della ferrovia “nuova” che dal 1866 al 1931 andava da Piacenza a Milano Centrale, le linee verdi che delimitano il vecchio rilevato della Milano-Treviglio sono state aggiunte per maggiore chiarezza.
Il punto di impatto segnala l’incrocio fra la vecchia massicciata e l’ancor più vecchio tratturo. Dove il malcapitato Girolamo Bianchi, bracciante di anni 77, passò a miglior vita.

9 - Punto di impatto, in basso la continuazione del sentiero.

Agli abitanti del complesso nel lato sud di Piazzale Susa non farà certo piacere scoprire che nel cortile di casa è successo un fatto che è poco definire sgradevole. Ma sono passati quasi 170 anni. Immagino se ne siano scordati perfino i discendenti dell’anziano bracciante, se mai ne ha avuti.
D’altra parte, ritengo interessante e consolatorio che per misteriosi motivi (karma?), in un punto davvero molto vicino, qualche mano superiore abbia fatto nascere e permesso che crescesse un bellissimo albero, quello al centro dell’immagine qui sotto.

10 – Interno in Piazzale Susa (Google)

Analisi del terzo paragrafo:
L’ipotesi fatta già allora: è che Girolamo Bianchi fosse terribilmente sordo, tanto da non sentire il “reggitore” della locomotiva e il guardiano che “fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo”. Inutili gli avvisi vocali, il suono della tromba del guardiano, e il disperato fischio della locomotiva azionato da “reggitore”.
Il problema, però, non si esaurisce con la tragica scomparsa del Bianchi:
“Tuttochè si presumi [sic] che fosse per lo meno sordissimo, l’I.R. Luogotenenza, non ravvisò in ciò una sufficiente giustificazione del reggitore della locomotiva, che trascurò di fermare la macchina, ed ha quindi ordinato la più rigorosa procedura a termini di legge”.
Sembra di leggere una reazione che oggi avrebbero alcuni burocrati nei confronti dei troppo moderni e incomprensibili crimini informatici: “Non ho ben capito e quindi mi attengo al regolamento. O, meglio, mi astengo”.
Va bene che i treni, nel Lombardo-Veneto, erano presenti da una decina d’anni appena e la linea di Treviglio, in particolare, era stata aperta solo nel 1846, quattro anni prima; va bene che siamo in presenza delle nuove tecnologie e che non tutti ne conoscevano pregi e difetti, ma in tutto questo tempo l’Imperial Regio Luogotenente, Tenente-Maresciallo, Principe Carl von Schwarzenberg non aveva mai fatto un giretto in treno? Una gita a Treviglio, prima classe, in fin dei conti, costava letteralmente 4 lire (austriache). E uno di quel calibro probabilmente riusciva perfino a ottenere i biglietti gratuiti dal Presidente della società ferroviaria…
Non sapeva l’I.R. Luogotenente e Principe di Schwarzenberg, che fermare un treno lanciato alla folle velocità di 50 Km/h richiedeva spazio? Uno spazio molto maggiore di un carro trainato da placidi buoi? Non sapeva che le locomotive dell’epoca, i freni nemmeno li avevano e che bisognava attivare i frenatori, appollaiati sulle vetture, con un codice di fischi?
Dura lex sed lex” dicevano a Roma. Ma “injusta lex” se non si adatta velocemente allea realtà sociotecnologica cogliendo per tempo le differenze operative. Che è quanto accaduto al povero macchinista. E così a pagare, si spera poco ma sempre troppo, fu il reggitore che “trascurò di fermare la macchina”. Cari reggitori moderni, fatevi animo, la faccenda è iniziata tanto tempo fa.

Silvio Gallio 24 Febbraio 2019


mercoledì 20 marzo 2019

L'Arena Civica: un progetto di trasformazione monumentale degli anni 30 di Gabriele dell'Oglio




Come noto ai più, l’Arena civica fu costruita tra il 1805 ed il 1807, su progetto dell’Architetto Luigi Canonica, il quale si ispirò alla tradizione imperiale romana, ed in particolare al Circo di Massenzio.
Nel primo secolo di vita, l’Arena fu usata prevalentemente per naumachie (ricostruzione di battaglie navali, allagandole con le acque della Roggia Castello), per corse di cavalli e giochi pirotecnici.


L'Arena allagata in occasione di una naumachia, 1875
Fu anche usata per spettacoli circensi (vi si esibì il circo di Buffalo Bill) ed ospitò i campionati italiani di ciclismo del 1895.
Nel 1910 fu teatro dell’esordio assoluto della nazionale italiana di calcio che per l’occasione affrontò la Francia (vittoria azzurra per 6-2).
Infine dal 1930 al 1947 ospitò le partite casalinghe dell’Internazionale F.C. (mentre il Milan, giocava a San Siro dal 1926).
15 Maggio 1910, la Nazionale Italiana disputa all'Arena la prima partita della sua storia con la Francia, ottenendo una lusinghiera vittoria per 6 reti a 2 con tre realizzazioni di Lana ed una per uno da parte di Fossati, Rizzi e Debernardi.
Ecco da sinistra a destra i protagonisti di quella storica impresa : Mario De Simoni, Francesco Calì (Capitano), Franco Varisco, Domenico Capello, Virgilio Fossati, Attilio Trerè, Franco Bontadini, Giuseppe Rizzi, Aldo Cevenini, Pietro Lana, Arturo Boiocchi, Enrico Debernardi. Una curiosità è che questa immagine non fu scattata all'Arena come attestao ovunque su Internet e su alcuni documenti ufficiali, bensì al campo del Milan in Via Bronzetti, dove si tenne un allenamento qualche giorno prima della partita contro la Francia.
Quello che pochi sanno, invece è che l’architetto Giuseppe de Finetti, predispose un progetto di ampliamento, in collaborazione con l’ingegner Arturo Danusso e l’architetto Mario Bacciocchi.
L’ampliamento dell’Arena si inquadrava nel progetto più ampio, noto come “Foro Mussolini”, che avrebbe rivoluzionato l’area a nord-est dell’Arena.
Per la realizzazione dell’ampliamento, de Finetti ipotizzava di demolire le “carceri”, la “porta trionfale”, la “porta libitinaria”, il “pulvinare” ed il colonnato, che sarebbero stati riutilizzati in parte in loco, in parte altrove.
In questo modo le gradinate esistenti avrebbero costituito il “primo anello” della nuova struttura.
Il nuovo impianto, infatti, si sarebbe infatti sviluppato su quattro ordini di posti, il primo dei quali costituito dalla struttura preesistente, mentre gli altri sarebbero stati di nuova realizzazione.
A completamento della struttura, poi, era prevista una copertura, realizzata con struttura metallica, che avrebbe riparato i tre anelli più esterni.
La nuova struttura sarebbe risultata ben più imponente della esistente, con un’altezza degli spalti a quota 28,90 metri (contro i 5,20 metri della struttura preesistente), che avrebbe raggiunto i 42,50 metri, contando la struttura di sostegno della copertura [1] [2].

Foto 1
Foto 2
Al fine di consentire l’uso dell’impianto, durante i lavori, questi sarebbero stati realizzati per fasi successive, in modo da mantenere un minimo di agibilità della struttura [3].


Foto 3
Il nuovo impianto, articolato su più livelli, avrebbe anche contenuto al suo interno tutta una serie di locali accessori (ben centoquaranta, destinati alle sedi societarie, agli uffici, agli alloggi degli atleti in allenamento), nonché il complesso sistema di accesso/deflusso agli spalti [4] [5][6].


Foto 4

Foto 5

Foto 6
Il progettista stimava che il primo anello avesse una capienza ordinaria di 19.000 spettatori (con una supercapienza di 26.600), mentre la parte nuova avrebbe avuto una capienza di 56.364 posti (78.909, in condizioni di supercapienza), per complessivi 75.364 posti (105.509 in supercapienza).
Funzionale al nuovo impianto era anche la sistemazione viaria, che si sarebbe articolata su più livelli, al fine di separare i flussi pedonali, da quelli veicolari, ulteriormente suddivisi fra traffico di accesso allo Stadio e traffico “ordinario”.
Sul lato verso il Parco era prevista la realizzazione di un collegamento diretto tra il Foro Bonaparte e Via Melzi d’Eril. Tale collegamento, che avrebbe avuto la stessa larghezza delle due strade (37,50 metri), non sarebbe stato in piano, ma avrebbe avuto il tratto centrale a quota -5,00 metri, tramite due rampe simmetriche, con pendenza del 6,25%. Nella parte centrale, si sarebbe quindi creata una galleria artificiale, lunga 263 metri, dotata di opportune aperture per la ventilazione ed illuminazione, che avrebbe ospitato due banchine tranviarie lunghe ben 173 metri.
Dalla galleria si sarebbe raggiunta l’Arena in due modi: mediante una coppia di camminamenti che avrebbero portato al parterre e mediante una coppia di scaloni, che avrebbero portato alle gallerie periferiche.
Al di sopra della galleria vi sarebbe stata una piazza terrazzata, avente una superficie di 10.200 mq, elevata ad una quota di 5,35 metri sul piano campagna.
Sul lato opposto dell’Arena (l’area che attualmente affaccia su Via Legnano e Viale Elvezia), era prevista la formazione di una nuova piazza semicircolare, circondata da edifici porticati al cui centro, quale fulcro, sarebbe stata eretta un’alta colonna vittoriale [7] [8].


Foto 7

Foto 8

Infine, con l'obiettivo di risolvere i flussi di traffico, tra loro ortogonali, lungo i Bastioni di Porta Volta e lungo Via della Moscova (ed il suo prolungamento verso Ovest), si sarebbe provveduto a sfalsarli su due livelli, abbassando la sede stradale lungo i Bastioni di Porta Volta, mantenendo a quota campagna le vie ad essa ortogonali.

Tutte le informazioni e le immagini del progetto sono tratte dal libro “Stadi. Esempi - tendenze – Progetti”, Giuseppe de Finetti, Hoepli editore 1934.






lunedì 18 marzo 2019

Il Lazzaretto di Crescenzago e l'Oratorio di San Mamete di Roberto Bagnera e Filomena Schiattone


Milano, si sa, è una città rivolta al futuro, il tempio della modernità e della proverbiale efficienza,
tutto vero, tutto vero anche quando si afferma che è un luogo pieno di sorprese dove le tradizioni ed un certo numero di resistenze del suo passato coesistono con facciate strutturali e grattacieli impervi.
Passeggiando per alcune strade periferiche l’epifania di trovarsi in altri tempi può colpirvi molto più spesso di quanto non crediate. Crescenzago per esempio, antico borgo lambito dal Naviglio Martesana conserva fra le sue strade più d’una perla storica e paesaggistica.
Percorrendo la via San Mamete e aguzzando gli occhi potremo leggere, all’altezza del civico n° 50, dove la via si produce in una repentina piega, proprio sull’angolo la scritta :

X VIA
GIA’ LAZZARETTO



In realtà davanti alla X manca una E, come evidenziato dalla foto storica, quindi una via che conduceva al Lazzaretto.



Ma qui non siamo a Porta Orientale dunque?

Il Lazzaretto , da cui prendeva nome in precedenza l'attuale via San Mamete , è testimonianza delle pestilenze del XV e XVI secolo.


Mappa catastale di fine Ottocento della zona del Lazzaretto

Verso la metà del 400 scoppia in Europa una grande epidemia. A Milano gli appestati venivano portati fuori città a mezzo di barche ma era una soluzione  piuttosto scomoda. Vennero presentati al duca Galeazzo Maria Sforza progetti di ricoveri collegati con l'Ospedale Maggiore.
Lazzaro Cairati, notaio dell'Ospedale,  nel 1460 propose  un lazzaretto da costruirsi in "loco crescenzago" da raggiungere con barche lungo il Naviglio Martesana. Il progetto venne realizzato negli anni 1484-90.
Il borgo di Crescenzago venne perciò eletto a luogo di ricovero per malati di peste a causa dei ricorrenti contagi che affliggevano Milano,  come quelli del 1524 e nel 1576-77, in quest'ultima occasione  se ne prese cura il cardinale Carlo Borromeo, il quale fece erigere un oratorio conosciuto oggi come San Mamete al Lazzaretto.
Successivamente, nel corso del  XVIII secolo le strutture del  lazzaretto  vennero inglobate in una struttura rurale che prese il nome di cascina Lazzaretto, nome che richiamava il toponimo storico pioi convertito in via San Mamete, ed è residua testimonianza testimonianza delle pestilenze del XV e XVI secolo.



Resti del Lazzaretto e dell'omonima cascina




Altri Lazzaretti e luoghi di ricovero degli appestati si trovavano in varie località di Milano, alcuni sopravvissuti fino ad oggi ed altri no come ad esempio quello che si narra esistesse in loco Corte Regina, poco distante da qui, ma riguardo il quale non ci sono documentazioni storiche.


Facciata e particolari dell'Oratorio di San Mamete




Il complesso dedicato a San Mamete, Lazzaretto ai tempi della peste di San Carlo ed inserito ora in un gruppo di cascine, conserva un oratorio coevo che deve aver subito radicali trasformazioni nel corso del Diciassettesimo secolo come ci fa pensare la campana datata 1683. La facciata è lineare, spartita da due ordini di lesene tra le quali si inseriscono il portale che ripete nel timpano il motivo del coronamento, e il finestrone ad arco a sesto ribassato.
Interni della chiesetta








L’interno è ad aula rettangolare con volta a botte divisa in tre campate; in corrispondenza di quella centrale, sulle pareti laterali si aprono sue arconi. Nella chiesa trovano spazio due pregevoli dipinti un cristo Deposto ed una sacra Famiglia con Gesù Bambino che benedice la mensa. 




Nel presbiterio notevole è l’altare a stucchi policromi a imitazione di intarsi marmorei.

L'altare policromo e dettagli


 


Nella sagrestia è conservato un affresco cinquecentesco raffigurante una deposizione tra i SS. Rocco e Sebastiano.





Parte centrale dell'affresco riproducente una finestra trompe l'oeil dove si riconoscerebbero le strutture del Lazzaretto


Una nota di cronaca ricordata da alcuni abitanti del quartiere ci informa che negli anni 90,
in attesa che venisse ultimata l'attuale Chiesa di quartiere Adriano "Gesù a Nazareth", all'interno del lazzaretto venne predisposta una chiesa provvisoria  che venne utilizzata per battesimi e comunioni, dato che l' Oratorio di San Mamete era troppo piccolo per le esigenze della comunità, fu così che la stalla della cascina al civico 75 di via San Mamete  fu trasformata  e adattata ad uno spazio accogliente dove poter celebrare la Santa Messa, si organizzò persino un bar ed altri spazi del caseggiato rurale furono utilizzati per diverse attività parrocchiali. Questa particolare condizione meritò dagli abitanti il nome di Cattedrale Stalla.
Converrà poi che si passeggi ancora un poco lungo la via San Mamete dove, al civico 98,  ci imbatteremo nella storica Cascina Bosco il cui nome ci ricorda l'esistenza dello storico Bosco di Crescenzago che si estendeva fino ai confini della vicina Sesto San Giovanni.

Particolari della Cascina Bosco






Concludiamo la nostra narrazione ricordando che nel 1900, all'epoca della visita pastorale dell'Arcivescovo Andrea Carlo Ferrari presso la Pieve di Bruzzano, cui era annesso in amministrazione ecclesiastica il territorio in questione, L'oratorio di San Mamete era parte del beneficio parrocchiale di Santa Maria In Crescenzago, e registrato come proprietà di tali Beretta.
Santa Maria Rossa in Crescenzago era in tale data una parrocchia costituita da 2500 anime compresi gli abitanti delle frazioni di Cimiano, Corte Regina, Molino del Dosso e Tre Case.



Stralcio di mappa IGM del 1850 raffigurante la zona in questione.

Nel territorio parrocchiale, oltre a San Mamete si registravano l'Oratorio di Snta Maria Assunta in Cimiano e l'Ospedale di Milano, quest'ultimo fu fatto edificare nel 1250 a seguito della visita del frate Domenicano Stefano Spagnolo, penitenziere del Papa e visitatore apostolico in Lombardia, che ordinò ai convenutali agostiniani di Santa Maria Rossa di edificare un ospedale per i poveri infermi secondo il volere di Papa Innocenzo IV, ancora oggi le strutture della storica Basilica di Crescenzago, situata in prossimità di quella che era nel XII secolo la Strada Veneta come ci attesta il dizionario Corografico d'Italia del 1854, sono composte da: chiesa, canonica. chiostro e ospedale.


Scorcio di via San Mamete, sulla destra l'omonima chiesetta, foto del 1984 di Virgilio Carnisio

Foto Reportage 2019 di Filomena Schiattone

Per la realizzazione di questo articolo ringraziamo alcuni abitanti di Crescenzago, che non amano essere nominati, che ci sono stati preziosissimi per i loro racconti e testimonianze sul vecchio borgo e le sue emergenze culturali.
Si ringrazia l'amico Matteo Grieco per aver dissipato il velo sulla lettera mancante nella vecchia cartella viaria di via San Mamete 50 ed aver fornito l'immagine storica.
Grazie all'Ingegner Gabriele dell'Oglio per le mappe storiche e al maestro Virgilio Carnisio per la splendida fotografia del 1984 di via San Mamete