20 Agosto 1850 Investimento di persona sulla linea Milano-Treviglio
Sai com’è, quando ti
capita per le mani un breve trafiletto che parla di cose un po’ particolari?
Cominci a girarci intorno, a cercare lati e angoli diversi dal solito. E poi pensi
che non tutti lo avranno letto e ancora meno ne potrebbero trarre gli stessi …
insegnamenti (?). Ti metti, allora, alla tastiera e butti giù qualche schizzo.
Ecco, così. Per
passatempo. Chissà cosa salta fuori?
Accadde leggendo una
breve di cronaca sulla Gazzetta di Mantova del 21 agosto 1850, un trafiletto che informava del penoso
incidente ferroviario accaduto il giorno prima. A Milano. Anzi, appena fuori
Milano.
Il trafiletto:
“Su questo tronco di strada ferrata Lombardo-Veneta si
ebbe jeri a deplorare una sventura all’ultima corsa di partenza da Milano a
circa un miglio dalla Stazione di Porta Tosa. Un individuo che fu riconosciuto
per Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone, da un
sentiero era salito sull’argine della ferrata, nel mentre soprarrivava il
convoglio.
Invano il reggitore della Locomotiva e un guardiano
ivi vicino fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo; ma
quell’infelice, mentre la locomotiva gli era vicinissima, di nulla
accorgendosi, fattosi ad attraversare la ferrata, ne venne colto e rovesciato a
terra estinto.
Tuttochè si presumi [sic] che fosse per lo meno sordissimo,
l’I.R. Luogotenenza, non ravvisò in ciò una sufficiente giustificazione del
reggitore della locomotiva, che trascurò di fermare la macchina, ed ha quindi
ordinato la più rigorosa procedura a termini di legge”.
Storia e geografia
Milano, nel 1850, era ancora chiusa dentro i Bastioni. Tutt’attorno,
come una caramella col buco c’era il Comune dei Corpi Santi costituito da
paeselli e cascine. Le mura e le porte della città venivano attentamente
controllate dalla polizia asburgica. Questa magari, visti i tempi e le
antipatiche attività di Carlo Alberto di Savoia-Carignano giusto un paio di
anni prima, e visto che un sacco di gente, sotto sotto, mormorava, in quel
periodo si impegnava in controlli più stretti e attenti.
Gli ufficiali, superiori e non, erano austriaci; le truppe
erano per lo più croate e nessuno dei due gruppi amava l’Italia dopo gli
scherzetti che questa stava combinando da quando, mezzo secolo prima, Napoleone
si era fatto vivo da questa parte delle Alpi. E non pensiamo che avessero
gradito e dimenticato le bastonate ricevute in cinque giorni a Milano nella
seconda metà di marzo del 1848. Insomma, tirava brutta aria.
Tanto occhiuta era la polizia asburgica da aver ottenuto, già
da tempo, che la costruzione delle stazioni ferroviarie fosse effettuata fuori
dalle mura. Nemmeno Carlo Cattaneo, che qualche conoscenza pure ce l’aveva, era
riuscito a portare il treno in Piazza Fontana, come pensava fosse utile alla
cittadinanza e alla società ferroviaria di cui era segretario per la Direzione
lombarda. Rabbrividiamo!
Bisogna capirli quelli della Polizia; dal 1842, dopo il terribile
deragliamento con incendio del treno avvenuto a Meudon, in Francia, con i suoi
55 morti e oltre 100 feriti gravi, non si potevano più chiudere a chiave i
passeggeri nelle loro carrozze. Una stazione entro le mura e questa libertà di
sportello avrebbe favorito un patriota bombarolo che poteva saltare giù dal
treno, al volo, subito dopo averle passate, quelle mura. Quindi, la stazione doveva
stare fuori dai Bastioni. Se proprio voleva andare a Milano, il pericoloso
rivoluzionario poteva regolarmente scendere dal treno alla stazione fuori città,
caricarsi delle armi o della polvere pirica e provare ad entrare attraverso una
delle porte, sotto i sospettosissimi e perforanti occhi di gabellieri e
poliziotti.
Non che fosse solo colpa della polizia, c’erano anche altre
motivazioni per tenere i treni fuori dalla città, per esempio il fumo, lo
sporco, il rumore e qualche decina di ferrovieri sudati e affumicati che, a due
passi da Duomo, bisogna proprio che lo dica, non sono mica un bello spettacolo,
signora mia.
Sta di fatto che, mentre la Direzione della Ferdinandea era
comodamente piazzata in Contrada del Monte 870/A e quella della linea di Como
era in contrada della Galline 1696, gli affumicati che arrivavano da Monza (e
poi Camerlata) vennero tenuti fuori Porta Nuova e quelli che arrivavano da
Treviglio dovevano restare oltre Porta Tosa.
Questa seconda stazione è la più interessata all’incidente
ferroviario.
Analisi del primo
paragrafo
“Su questo tronco di strada ferrata Lomb-Veneta si ebbe jeri
a deplorare una sventura all’ultima corsa di partenza da Milano a circa un
miglio dalla Stazione di Porta Tosa. Un individuo che fu riconosciuto per
Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone, da un sentiero
era salito sull’argine della ferrata, nel mentre soprarrivava il convoglio”.
A Porta Tosa nasceva la linea che doveva arrivare a Venezia
ma che si stava lentamente allungando solo sul territorio Veneto perché gli
azionisti non riuscivano a mettersi d’accordo su quale dovesse essere il
percorso della tratta da Treviglio a Brescia. È un’altra lunga storia e poco
entra nel percorso del discorso in corso. (Parentesi: Umberto Eco diceva di evitare
questi giochi verbali ma io non sono lui e poi ho appena riletto “Il nome della
rosa” e di questi giochetti di parole ne fa a bizzeffe. Lui).
Per undici anni il binario si accontentò di partire dal
bastione di Milano e terminare a Treviglio, una trentina di chilometri appena.
Non essendovi alcun proseguimento su rotaie, le merci e i viaggiatori dovevano allora
lasciare il treno, salire su carri e carrozze stradali e trottare fino al punto
in cui era giunta la ferrovia per poter riprendere il viaggio sul nuovo, celere
e sbuffante mezzo di trasporto.
Dieci anni dopo la costruzione e l’apertura di questa
tratta, cosi la racconta Bonghi ricordando il lavoro di Valentino Pasini in La Vita e i Tempi Valentino Pasini:
“La svoltata [la deviazione Treviglio-Bergamo-Coccaglio n.d.a.] è così
bizzarra e strana, che vi si surroga a occhi veggenti un angolo acuto a una
linea retta, e con tanta perdita di tempo e di denaro, che a Treviglio si può
scendere dal treno, e, con un buon cavallo, andarlo ad aspettare a Coccaglio:
mostruosità davvero unica al mondo”.
Naturalmente con queste ristrettezze organizzative non è che
il traffico potesse evolversi. La tratta rimase a semplice binario fino a
quando, pur facendo una larga deviazione su e giù per Bergamo, la ferrovia non
venne terminata e Venezia fu collegata con Milano. Solo allora si iniziò a
mettere mano al raddoppio. Sicuramente dopo l’ottobre del 1857, forse all’inizio
del 1858.
Nel frattempo, il traffico dei treni viaggiatori era
limitato a tre o al massimo quattro coppie di convogli. Quanto alle merci, non
è chiaro quanti treni così classificati circolassero ma, poiché in genere tale
trasporto veniva effettuato con treni classificati “misti”, ovvero merci e
viaggiatori, probabilmente poteva essere necessaria una coppia ogni tanto o
qualche convoglio straordinario.
1 -Grafico Milano-Treviglio 1850 - le barre
rosse segnalano spazi temporali più ampi.
Col che si può capire come fra un treno e l’altro
esistessero degli intervalli di tempo anche di alcune ore. Tutta quella strada,
bella, dritta, e ferrata per giunta, e nemmeno un carretto o una coppia di
buoi! Uno spreco.
Non ci stupiamo, allora, che in un momento storico in cui i
treni erano una delle maggiori novità (la linea Treviglio, in particolare, era
aperta da soli quattro anni), chi volesse attraversare i binari e non ne fosse
limitato dalla guida di un carro non si curasse certo di cercare un passaggio a
livello. A ben vedere un simile comportamento ha perfino qualche carattere di
logica. Facile ragionare come segue:
“Ma come, fino a qualche anno fa io percorrevo gli stessi viottoli,
disegnati fra un campo e l’altro, che avevano percorso i miei avi e adesso che
mi ci hanno costruito quella lunga muraglia di terra attraverso, non posso
almeno scavalcarla? Che poi non è che la muraglia serva a molto, quel mostro di
ferro che butta fumo e corre come un dannato si vede solo ogni tanto e io
dovrei fare tutto il giro? Ma mica sono matto!”
Indipendentemente, però, dalla legalità e dalla correttezza
del comportamento del malcapitato contadino
girovago ed accattone mi è venuto in mente di cercare di approfondire. Sarà
che ho dovuto scrivere un sacco di rapporti per anormalità del traffico che ne
sento la mancanza. Incredibile, vero?
Per cominciare, orario e località. Poi modalità e
riflessioni.
Come si è detto, siamo sulla Milano-Treviglio a circa un
miglio dalla stazione ed è l’ultima corsa da Milano. Il giorno del fattaccio è
il 20 agosto 1850 e scopriamo che si tratta di un martedì.
Cerchiamo di stabilire che ora fosse. Basta prendere un
orario ferroviario e vedere a che ora partiva da Milano l’ultima corsa per
Treviglio.
Semplice a dirsi. Perché invece, eccone uno proprio di
quell’anno:
Tradotto: “Milano-Treviglio,
18 miglia, treni molte volte al giorno”. Viva l’informazione! Viva la
precisione!
Scopriremo con la figura 3 che i treni previsti in orario
erano quattro in una direzione e quattro nell’altra. Che otto treni fossero
considerati “molte volte al giorno”
dà la misura del punto di vista.
Per il resto d’Europa, già da anni Bradshaw’s Guide da cui la
precedente immagine è stata tratta, proponeva gli orari tabulati come ancora
oggi siamo abituati a vedere con le ore e i minuti anche nelle stazioni
intermedie e treno per treno. Per nostra fortuna in una biblioteca di Vienna è
conservato un orario proprio del 1850. Da questa fonte abbiamo ritagliato
(virtualmente, eh!) la pagina relativa alla Milano Treviglio che mostra tutto
il traffico viaggiatori in quel ferroviariamente travagliato anno.
3 – Partenze e prezzi della ferrovia
Milano-Treviglio - 1850.
Si possono trarre varie informazioni da questa scarna immagine
(che ho leggermente restaurato). Per ora limitiamoci a osservare che nel 1850
l’ultimo treno (l’investitore) partiva da Milano alle 6.00 del pomeriggio.
Ovvero alle 18.00. Siamo così in grado di dedurre con una buona approssimazione
l’ora in cui accadde il deplorevole avvenimento.
Poiché l’investimento di Girolamo Bianchi è avvenuto a “circa un miglio dalla stazione”, alla
velocità che i treni dell’epoca riuscivano a sviluppare, specialmente in fase
di partenza, non poteva essere stato molti minuti dopo aver lasciato la
stazione di Porta Tosa.
Sventura: l’orario che abbiamo non ci informa sulle fermate
nelle stazioni intermedie. Ma da altre fonti consimili sappiamo che, nell’anno
successivo e per altri anni ancora, il tempo di percorrenza da Porta Tosa a
Limito, prima stazione con fermata, era di circa 18-20 minuti. Per una distanza
di circa 10 Km. Un breve calcolo ci dice che il treno avrebbe percorso in circa
tre-quattro minuti la distanza di un miglio (italiano di 1852 metri).
Ne deriva che il malcapitato contadino girovago e accattone perse la vita attorno alle 18.05 di
quel triste 20 agosto 1850 sotto le ruote -che sfortuna- dell’ultimo treno che
partiva da Milano che era anche il penultimo della giornata. Quello precedente
-verso Milano- era passato due ore prima e l’ultimo-ultimo, essendo quello che
da Treviglio tornava a Porta Tosa, sarebbe transitato, salvo complicazioni,
verso le 20.15. Due ore dopo.
Ci vuole della mira per finire arrotato alle 18.05!
Analisi del secondo
paragrafo:
E ora proviamo a determinare in quale punto il povero signor
Bianchi ebbe a perdere la vita in modo tanto miserando. Continuiamo nella
lettura:
“Invano il reggitore della Locomotiva e un guardiano ivi
vicino fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo; ma
quell’infelice, mentre la locomotiva gli era vicinissima, di nulla
accorgendosi, fattosi ad attraversare la ferrata, ne venne colto e rovesciato a
terra estinto”.
Continuiamo l’esame del testo notando che viene segnalato un
altro dipendente della società ferroviaria: il guardiano che era lì vicino era un ferroviere, dipendente della
Società Ferdinandea. Stava lavorando, non era un cittadino che faceva la
guardia a qualche campo o fienile.
4 - Vignetta contro il cavalcavia
di C.so Buenos Aires. In alto a sinistra un
guardiano espone il segnale.
Funzionava così: per aiutare i macchinisti nella guida il
più possibile sicura, veniva scaglionata a distanze opportune una serie di
guardiani (nell’immagine del 1857 eccone uno in alto a sinistra con la bandiera)
e si offriva loro l’alloggio nei famosi “caselli” (ecco uno dei perché furono costruiti ovunque). Dato lo scarso traffico,
la funzione dei guardiani era duplice:
-
Tenere sotto controllo lo stato fisico della
struttura (deviatoi, binari, cuscinetti, traversine, massicciata, opere d’arte)
con costanti visite della linea nella tratta assegnata;
-
Quando presenti passaggi a livello, bivi e sedi
di incrocio, gestirne la chiusura e apertura e la posizione dei deviatoi.
-
Informare il macchinista sullo stato del
traffico, tramite una serie di segnali fatti con bandiere, lanterne o altre
attrezzature. Se un treno era fermo o comunque transitato da troppo pochi
minuti doveva arrangiarsi a conformare la velocità in relazione all’orario di
servizio, ma avendo la sicurezza che nessun treno era transitato in quel punto
da meno di un lasso di tempo predefinito: in genere 5 minuti.
Ogni società ferroviaria determinava un suo proprio
regolamento per i segnali, ad esempio, la gestione degli incroci per le tratte
a semplice binario.
Per la linea Milano-Treviglio, anche se era ancora a
semplice binario, il problema degli incroci non si poneva nel modo più
assoluto. Come vediamo nel grafico di figura 1, le corse erano congegnate in
modo tale che, al materiale del treno che partiva da Milano, una volta giunto a
Treviglio veniva manovrata la locomotiva dalla testa alla coda e il treno
ritornava a Porta Tosa. Il treno stesso si portava la “via libera”, non c’erano
altri treni nella tratta. Tanto meno a sera inoltrata.
Non è questo, però, il momento di estendere troppo il
discorso; stiamo cercando di determinare il punto di impatto. La citazione
della presenza di un guardiano ci offre un’indicazione importante. Parafrasando:
“il guardiano, dov’era costui?”
Partendo a Porta Tosa esistevano vari caselli. Per il primo,
la distanza dagli scambi estremi della stazione era piuttosto breve, circa 900 metri,
ma, poiché il terreno che occupava l’impianto della stazione era a sua volta di
lunghezza notevole, il Fabbricato Viaggiatori, quello che comunemente viene
definito “stazione”, si trovava a circa 1.600 metri; poco meno di quei 1852
metri che formano il “circa un miglio”
di cui parla l’articolista.
5 - Area interessata al tragico evento
Con tutta probabilità -le multe erano pesanti- sapendo che
il treno stava arrivando, il guardiano era lì impalato per segnalare “via
libera”. Poi, avendo visto il Bianchi cercare di attraversare, deve essersi
mosso per cercare di “fare tutto che era
in lui” per salvare il poveretto.
Alle 18.05 di una sera d’agosto, anche senza ora legale, la
luce naturale non manca e, se il guardiano non è riuscito ad arrivare al povero
bracciante questi non doveva essere proprio vicino. Oppure gli è apparso all’ultimo momento!
L’articolista ci informa che il Bianchi è arrivato alla ferrovia
seguendo “un sentiero e fattosi ad
attraversare la ferrovia”, quasi certamente intendeva proseguire sulla
continuazione posta sull’altro lato: non ci rimane che andare a cercare una
simile posizione.
Per prima cosa il rilevato.
Ci è pervenuta una foto di una partita di calcio scattata
attorno al 1905. Il campo di gioco era a ridosso del vecchio “argine” della ferrovia, abbandonata da
anni ma non ancora del tutto eliminata.
6 - Partita di calcio del 1905-6 lungo il
rilevato ferroviario, Campo dell'Acquabella
Come si vede, un ottimo spalto per chi volesse avere
un’ampia visuale della partita. Ma ottimo anche per celare allo sguardo chi si
trovasse dalla parte opposta.
Ora, il tratto fotografato non è proprio a ridosso del
casello ma nemmeno molto lontano. Gli attenti studi degli amici di Skyscrapercity,
il noto forum di informati e
selettivi appassionati di Milano, ci permettono di posizionare questo campo nei
pressi del rettangolo verde disegnato in figura sotto. Per dare un riferimento
attuale, la strada tracciata sotto il rettangolo verde diventerà via Archimede
e quella sulla destra del rettangolo sarà via Piolti de’ Bianchi. Tenuto conto
del cognome dell’investito, la cosa è piuttosto singolare.
7 - Aerogramma dell'area (1917) - Si possono
ancora vedere i resti della linea.
Intendiamoci, l’investimento non è avvenuto in quel punto;
dalla punta scambi estremi della stazione a quel campetto si misurano 400–450 metri.
Ce ne vogliono altrettanti per arrivare nei pressi del casello ma, proprio per
la vicinanza, la massicciata non poteva essere di molto diversa altezza.
Questo cosa comporta?
Rileggiamo il primo pezzo di trafiletto:
Girolamo Bianchi di anni 77, contadino girovago ed accattone,
da un sentiero era salito sull’argine della ferrata, nel mentre
soprarrivava il convoglio.
Non sappiamo in quale direzione si muoveva lo sventurato ma
se il guardiano era -come da regolamento- sulla porta del suo casello, poteva
aver visto il bracciante girovago solo all’ultimo momento, dopo che questi era
salito sulla sede ferroviaria provenendo
dalla parte opposta del rilevato e diretto verso nord in direzione della
Cascina Acquabella IV che distava poche decine di metri.
Il guardiano vede allora apparire la sagoma del pedone che
si è già arrampicato sulla massicciata pochi secondi prima dell’arrivo del
treno. Quasi impossibile intervenire fisicamente senza essere definito “eroe” sul
giornale del giorno seguente. Alla memoria. Unica speranza era di attirare
l’attenzione del pedone e del “reggitore” con suoni, urla e gesti.
Questo terzo dettaglio ci permette di determinare con
assoluta precisione dove Girolamo Bianchi ha perso la vita. Dobbiamo trovare un
sentiero che fosse stato tagliato in due dall’argine della ferrovia, il taglio doveva essere nei pressi di un
casello da guardiano posto a meno di un miglio (italiano) dalla stazione.
Chissà quanti sentieri, viottoli, tratturi e cavedagne sono
stati tagliati dalle strade ferrate. Qualcuno si è salvato per la costruzione
di ponticelli che permettessero il passaggio di carri agricoli, altri sono
stati semplicemente chiusi: un tacito invito ad attraversare la linea, visto
anche lo scarso traffico.
Dove trovare allora, a circa un miglio dal Fabbricato
Viaggiatori, un tratturo che fosse tagliato dal rilevato ferroviario e vicino a
un casello?
Non è impossibile.
Ecco la mappa catastale
del Comune dei corpi Santi di Porta Vittoria che mostra più in dettaglio il casello
e il tratturo che, partendo dall’aia della Cascina Acquabella IV, scendeva
verso i fontanili “gemelli” detti “di San Gregorio” e “dell’Acquabella” fino a
lambire il casello n° 1. (L'amico Ing. Gabriele dell'Oglio mi ha insegnato che il tratteggio a cavallo di una linea di confine indica un vialetto interpoderale, cioè al servizio delle proprietà confinanti).
Questa mappa però, non mostra un proseguimento del tratteggio
a sud della linea ferroviaria saremmo autorizzati a pensare ad un viottolo di
servizio tracciato per permettere agli abitanti del casello di accedere a casa
loro. Ma una seconda mappa dell’area, posteriore di 20 anni circa, ci permette
di vedere come il viottolo si prolungava a sud della ferrovia. Abbiamo così la
posizione esatta del punto di impatto, in relazione a quanto oggi presente sul
terreno.
Scopriamo allora che il malcapitato Girolamo Bianchi è stato
“rovesciato a terra estinto” nei
pressi di Piazzale Susa. Lato sud. Nell’immagine sotto vediamo la particella
1213 adiacente al marciapiede di Piazzale Susa, la curva della ferrovia “nuova”
che dal 1866 al 1931 andava da Piacenza a Milano Centrale, le linee verdi che
delimitano il vecchio rilevato della Milano-Treviglio sono state aggiunte per
maggiore chiarezza.
Il punto di impatto segnala l’incrocio fra la vecchia
massicciata e l’ancor più vecchio tratturo. Dove il malcapitato Girolamo
Bianchi, bracciante di anni 77, passò a miglior vita.
9 - Punto di impatto, in basso la
continuazione del sentiero.
Agli abitanti del complesso nel lato sud di Piazzale Susa non
farà certo piacere scoprire che nel cortile di casa è successo un fatto che è
poco definire sgradevole. Ma sono passati quasi 170 anni. Immagino se ne siano
scordati perfino i discendenti dell’anziano bracciante, se mai ne ha avuti.
D’altra parte, ritengo interessante e consolatorio che per
misteriosi motivi (karma?), in un punto davvero molto vicino, qualche mano
superiore abbia fatto nascere e permesso che crescesse un bellissimo albero,
quello al centro dell’immagine qui sotto.
10 – Interno in Piazzale Susa (Google)
Analisi del terzo
paragrafo:
L’ipotesi fatta già
allora: è che Girolamo Bianchi fosse terribilmente sordo, tanto da non sentire il
“reggitore” della locomotiva e il guardiano che “fecero tutto che era in loro per avvertirlo ed allontanarlo”. Inutili gli avvisi vocali, il suono della tromba del
guardiano, e il disperato fischio della locomotiva azionato da “reggitore”.
Il problema, però, non si esaurisce con la tragica scomparsa
del Bianchi:
“Tuttochè si presumi [sic] che fosse per lo meno sordissimo,
l’I.R. Luogotenenza, non ravvisò in ciò una sufficiente giustificazione del
reggitore della locomotiva, che trascurò di fermare la macchina, ed ha quindi ordinato
la più rigorosa procedura a termini di legge”.
Sembra di leggere una reazione che oggi avrebbero alcuni
burocrati nei confronti dei troppo moderni e incomprensibili crimini
informatici: “Non ho ben capito e quindi
mi attengo al regolamento. O, meglio, mi astengo”.
Va bene che i treni, nel Lombardo-Veneto, erano presenti da
una decina d’anni appena e la linea di Treviglio, in particolare, era stata
aperta solo nel 1846, quattro anni prima; va bene che siamo in presenza delle
nuove tecnologie e che non tutti ne conoscevano pregi e difetti, ma in tutto
questo tempo l’Imperial Regio Luogotenente, Tenente-Maresciallo, Principe Carl
von Schwarzenberg non aveva mai fatto un giretto in treno? Una gita a
Treviglio, prima classe, in fin dei conti, costava letteralmente 4 lire (austriache). E uno di quel calibro probabilmente
riusciva perfino a ottenere i biglietti gratuiti dal Presidente della società
ferroviaria…
Non sapeva l’I.R. Luogotenente e Principe di Schwarzenberg, che
fermare un treno lanciato alla folle velocità di 50 Km/h richiedeva spazio? Uno
spazio molto maggiore di un carro trainato da placidi buoi? Non sapeva che le
locomotive dell’epoca, i freni nemmeno li avevano e che bisognava attivare i
frenatori, appollaiati sulle vetture, con un codice di fischi?
“Dura lex sed lex” dicevano a Roma. Ma “injusta lex” se non si adatta velocemente allea realtà
sociotecnologica cogliendo per tempo le differenze operative. Che è quanto
accaduto al povero macchinista. E così a pagare, si spera poco ma sempre troppo,
fu il reggitore che “trascurò di fermare la macchina”. Cari reggitori moderni, fatevi animo, la faccenda è iniziata tanto
tempo fa.
Silvio Gallio 24 Febbraio 2019
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