lunedì 6 gennaio 2014

Guglielmone biscotti & panettoni di Fausto Ciniselli e Sandro Passi

Articoli originariamente pubblicati sul Trimestrale "Il Vaglio" del  Circolo Culturale Lomellino Giancarlo Costa


 La Guglielmone è stata un’azienda che ha dato lustro - e lavoro - a Mortara per decenni.
Ha reso la città famosa in Italia e in Europa per la sua industria dolciaria, prima che la gastronomia mortarese fosse sinonimo di oca e dei suoi derivati (per quanto il salame d’oca esistesse già, ma la sua espansione avvenne solo molto tempo dopo).


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Mortara e Guglielmone volevano dire biscotti, pasticceria secca, torta paradiso (come quella che ancora oggi si trova da Vigoni a Pavia), ma specialmente il dolce principe delle tavole natalizie. 
L’ultimo “mastro panettonaio”, portabandiera vivente di quegli anni d’oro è il dottor Fausto Ciniselli, oggi over ottantenne, che ci racconta, nelle prossime righe, la sua vita nell’industria dolciaria. «Il Panettone era il segreto personale del signor Erminio – ricorda il chimico della Guglielmone – anche se i primi esemplari potrebbero essere datati fine Ottocento, il boom della nostra produzione è stato dagli anni Cinquanta ai Settanta. Siamo arrivati ad avere 400 unità lavorative tra fissi e stagionali, con turni operativi di ventiquattro ore, e a sfornare ventimila dolcissimi pezzi quotidiani.
Solo la Motta di Milano, nei primi anni Settanta ci batteva, facendone il doppio».


La storia dell’antica pasticceria di piazza del Municipio inizia nel 1883. Qui si poteva gustare ogni squisitezza e anche vivere la vita sociale del territorio. Arriviamo agli anni Venti del secolo scorso. Il locale veniva chiamato “L’Aragno della Lomellina”, perché – analogamente a quello romano – era il ritrovo di intellettuali e politici. Tra i suoi frequentatori Cesare Forni, uno dei fondatori del fascismo. A quei tempi Guglielmone esportava fino in Francia dove tra i clienti c’era un tale Gabriele D’Annunzio, autore della poesia che nomina anche Fausto Ciniselli nel suo articolo. Un momento importante del rilancio in quel periodo mica tanto bello (siamo in mezzo alle due guerre mondiali...) avvenne proprio durante il Secondo conflitto. Una straordinaria trovata pubblicitaria per “sfruttare” il buio del coprifuoco. I fratelli Guglielmone fecero affiggere sulle case di Milano e di altre città lombarde i numeri civici degli edifici su targhette fosforescenti recanti oltre al numero anche il loro marchio. Un servizio pubblico gratuito e un potente bombardamento pubblicitario che non lasciò indifferenti.


Numero civico sponsorizzato Guglielmone durante la Seconda Guerra Mondiale (Foto dal sito www atrieste eu)
Proprio nel mondo della pubblicità e della comunicazione con l’immagine la maestria dei Guglielmone è sempre emersa. Furono tra i primi a fare la “reclame” in televisione e tutti i loro manifesti, gadget, le loro confezioni, oggi, a distanza di anni, sono considerati veri capolavori del genere. (Sandro Passi)

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La Guglielmone fu un’azienda tra le più gloriose della realtà industriale mortarese.
Tre i nomi da ricordare, tre gli uomini che la crearono. Il fondatore, Pietro Guglielmone, che nel lontano 1883 iniziò aprendo in Piazza del Municipio, a Mortara, un bar pasticceria, che divenne in breve tempo luogo di incontro dell’élite mortarese.

Il Caffè Pietro Guglielmone in piazza del Municipio
Il primo figlio, Giovanni, valido amministratore della società (già allora dirigeva un ufficio con cento impiegati in piazza Duomo a Milano!) nonchè sagace uomo di marketing ante litteram.
Il secondo, Erminio, direttore dello stabilimento di Mortara, infaticabile lavoratore, dotato di lucida intelligenza, costantemente proteso alla ricerca di innovazioni per migliorare i prodotti.
Risparmiamo gli sterili dettagli tecnici sull’organizzazione, sia del primo, sia del successivo, nuovo e più
moderno stabilimento, preferendo invece rievocare alcuni episodi di “colore” afferenti la quotidiana vita
di fabbrica, con i suoi protagonisti: uomini che per dedizione, generosità e quella giusta dose di disincanto
e leggera ironia, hanno saputo affrontare – con spirito certo pionieristico – anche compiti gravosi, e risolvere
impreviste situazioni di emergenza.

Erminio Guglielmone

Mi perdonerete se solo di alcuni ricorderò il nome, ma vi assicuro che di tutti ho scolpito il ricordo.
Non di rado oggi restiamo a bocca aperta quando ci capita di assistere alle varie fasi di lavorazione, meccanizzata ed informatizzata, del ciclo di produzione di un prodotto. Uguale stupore proveremmo se potessimo osservare le stesse fasi, compiute però interamente dall’uomo, ripercorrendole in una sorta di cammino a ritroso nel passato. Tra i compiti più impegnativi cui gli operatori della Guglielmone dovevano attendere, vi era senza dubbio la movimentazione dei panettoni, che, posti ancora crudi e non lievitati, su assi di supporto (in file da dieci), dovevano essere introdotti per promuoverne la lievitazione in apposite camere
di lievitazione a 38/40 gradi di temperatura e 80% di umidità. E ancora: le assi introdotte dovevano essere
poste in incasellature a più ripiani, che dal basso, arrivavano quasi al livello del soffitto. Manovre opposte,
poi, si dovevano fare a panettoni lievitati.Tutto questo a torso nudo e a forza di braccia degli addetti alla descritta movimentazione.

Pubblicità dei Wafer O'mill
Altra incombenza decisamente impegnativa era quella dell’addetta al forno a cialde, la quale doveva stare in piedi, davanti a stampi roventi (riscaldati a fiamma diretta), per staccare da ogni stampo la relativa cialda
cotta, e i singoli stampi si presentavano alla velocità di 12 al minuto, con il risultato che attorno all’operatrice
l’aria era, di regola, vicina ai 40 gradi!
Quanta fatica per qualche secondo di dolce felicità per l’ignaro consumatore!
Parlando per l’appunto di ghiottonerie è impossibile non citare i mitici “cubini”, cioccolatini a forma di cubo, con in mezzo un dolce strato bianco di burro di cacao. I cubini venivano avvolti – uno ad uno – da una squadra di operatrici addette alla confezione, spesso intente, a testimonianza della bontà del prodotto,
alla sua piacevole degustazione. Fu così deciso di effettuare un raffronto tra il numero di cubini entrati dalla fabbricazione e usciti dalla confezione, e chi scrive, suo malgrado, venne incaricato del relativo controllo. Dovendo dare notizia degli ammanchi rilevati direttamente ad Erminio Guglielmone, egli mi rispose, riferendosi alle addette, col pragmatismo che lo contraddistingueva: «Meglio lasciarle mangiare perché, prima o poi, si stuferanno anche dei cubini!»
Era evidentemente consapevole dalla volubilità dei gusti del consumatore, e della necessità di carpire la sua attenzione con prodotti sempre nuovi ed allettanti.


Pubblicità su una rivista dei prodotti Guglielmone
La “nostra” Torta Paradiso era distribuita in astuccio recante una poesia scritta in dialetto lombardo da Gabriele D’Annunzio, a lode della squisitezza del prodotto, con versi autografi stampati sulla confezione.
Non meno sorprendente e innovativo per l’epoca fu l’accostamento tra la voce di Natalino Otto e i prodotti
Guglielmone alla Fiera Campionaria di Milano.
Mi riferisco a un biscotto rotondo, chiamato “Marie”, che, già di per sé apprezzato per le sue intrinseche
qualità, conobbe un ulteriore incremento delle vendite grazie a due geniali iniziative pubblicitarie della Guglielmone. Venne deciso di cambiare in “Oj Marì” la precedente (più anonima) denominazione di “Marie”,
e di presentare il prodotto alla Fiera, sottolineandolo col commento musicale della voce registrata di un
Natalino Otto, impegnato a cantare, con la sua ben nota vocalità “swing”, un’inedita versione della partenopea “Oj Marì”, con effetti dirompenti per l’epoca.
Originale fu anche l’accostamento tra il panettone e la mitica impresa della scalata al K2 compiuta da Compagnoni e Lacedelli nel 1954. In quell’anno i prodotti della Guglielmone vennero esibiti in uno spazio espositivo messo a disposizione dal Comune di Mortara nelle scuole Elementari, sul quale campeggiava un
imponente olio su tela (il cui valente autore credo fosse Gandini) con la sagoma della celebre vetta.

Il successo di Modugno "Ciao Ciao Bambina" fa da reclame per Guglielmone

Come è facile intuire da quanto esposto, in quegli anni si viveva un importante momento di transizione nel
quale sempre più forti erano gli stimoli al passaggio dalla produzione in piccola scala alla produzione industriale, al fine di soddisfare le esigenze di un consumatore sempre più attento e consapevole del proprio
ruolo. Nel campo della dolciaria tale cambiamento ha comportato sforzi non indifferenti: il lievito, atto a far
fermentare la pasta dei panettoni, come tutti sanno, è un microrganismo dal carattere imprevedibile, essendo
una cosa viva! Alle sue bizzarrie non è facile adeguarsi: ancora oggi per averne approfondita conoscenza
occorrono anni di esperienza, ed il mestiere di “lievitista” si apprende sul campo, nutrendo il lievito
periodicamente, dosando oculatamente – con metodo, magari empirico ma efficace - le dosi di farina ed acqua che gli occorrono più volte al giorno, esaminandolo e curandolo senza sosta come un bambino.
È così che ho iniziato, lasciando in un angolo i testi di chimica studiati all’università, consapevole che solo
la classica gavetta mi sarebbe stata d’aiuto, consentendomi di superare, quando mi venne affidata la gestione
dal punto di vista qualitativo della produzione, la naturale diffidenza dei mortaresi che mi chiedevano:
«A si ancùra bon da fa i paneton?». Quella frase - detta al plurale - lascia facilmente intendere che,
non solo nell’immaginario collettivo, ma anche nella realtà, il panettone, e di riflesso tutti i prodotti della
Guglielmone, non potevano che essere frutto di un lavoro di squadra. Per questo vorrei chiudere questa
prima parte del mio racconto menzionando – non me ne vorranno i più – solo alcuni esempi di coloro che
in questa squadra hanno vissuto, lasciando un segno indelebile della loro indiscutibile personalità.

Coperchio di una scatola di biscotti degli anni 50                                                                                                                       (Foto di Amedeo Pero sulla pagina Facebook "Foto di Mortara come era"


Il Silvio.
Una vera “istituzione” nella Guglielmone. Assunto in officina come meccanico, presto ne uscì e, per la sua
innegabile versatilità, divenne in breve tempo un indispensabile “solving problems” per tutti i reparti.
Di lui è bello ricordare due tra le numerose imprese che lo hanno visto protagonista:
- l’aver effettuato una indifferibile riparazione alla parete interna di un forno, ancor caldo (oltre 40 gradi di temperatura), entrandovi ed uscendo solo a riparazioneeseguita;
- l’aver realizzato, per sopraggiunte esigenze di spazio, lo spostamento di un forno a tunnel elettrico. Forno che, per sua natura, è destinato a rimanere inamovibile una volta installato, e che venne invece spostato collegandolo con una fune, e con le immaginabili cautele del caso, ad un automezzo posto in zona limitrofa.

L’Albertina.
Benchè madre natura non l’avesse dotata di una statura imponente, accettava con slancio di adempiere ad
incombenze che avrebbero messo a dura prova soggetti fisicamente ben più dotati.


L’epopea storica della Guglielmone è giunta al culmine, ma l’indiscutibile valenza evocativa del suo marchio è tale che ancora sarà protagonista per moltianni sulle tavole dei consumatori, anche dopo la sua acquisizione da parte della multinazionale Parein - De Beukelaer, con l’immutato entusiasmo ed il fattivo
apporto umano dei suoi operatori. Ma di questo parleremo in seguito.



Nel 1966 la Guglielmone viene ceduta alla multinazionale dolciaria belga Parein - De Beukelaer. Il presidente
della società Edouard De Beukelaer visitando lo stabilimento, lo aveva giudicato idoneo alla fabbricazione
di prodotti da vendersi in Italia.
Vengo confermato quale direttore di produzione e ricevo la visita del nuovo amministratore delegato,
Joseph Verbruggen, il quale, dinamico e perspicace, subito comprese i meccanismi che regolavano il mercato
della dolciaria in Italia.
Dati i risultati positivi, dovuti ad un tangibile incremento della produzione, la nuova amministrazione pensò di far conoscere in Italia un loro prodotto: il P.P.F., un biscotto farcito alla crema, gusto cioccolato e vaniglia, che già aveva riscontrato successo e larga diffusione in Francia, Germania e Austria.
Ai fini della relativa produzione del prodotto, ci venne fornito il necessario “know how” come oggi si usa
dire, consistente in una macchina “farcitrice” e due “impacchettatrici”. Non fummo però dotati del pur
necessario tunnel frigorifero per la dovuta refrigerazione del prodotto, che dovemmo costruirci noi stessi
facendo ancora una volta appello all’italico ingegno, ossia alle risorse interne. Nel dettaglio fu il Wilmo a
costruirlo. Un tecnico, purtroppo precocemente deceduto, che ricordo per il suo ingegno e la sua straordinaria capacità a creare – dal nulla – manufatti di ogni genere. Egli riuscì a fabbricare in ogni sua parte
(trasportatore a nastro, frigorifero e mobile esterno) un tunnel lungo ben venti metri, che l’amministrazione,
anche per la sua eleganza, decise di trasportare nel nuovo stabilimento. Così attrezzati riuscimmo a vendere
tonnellate di P.P.F. in Italia!

Villa Guglielmone affiancata dallo stabilimento di produzione in una vecchia cartolina di Mortara

 L’amministratore Joseph Verbruggen lasciò l’incarico, non senza aver prima provveduto, con l’abituale
oculatezza e lungimiranza che lo contraddistingueva, all’acquisto del terreno sul quale edificare il nuovo
stabilimento, da erigersi nella circonvallazione Sud di Mortara, oggi vero polmone industriale e commerciale
della città. Lo stabilimento venne costruito tra il 1970 ed il 1971, sul modello di analoghe realtà produttive esistenti in Belgio nelle città di Beveren ed Herentals, ove si producevano prodotti ancor oggi noti
alla collettività intera: uno su tutti il cracker “Tuc”.
Con l’avvio della produzione nel nuovo stabilimento, la Generale Biscuit Italia – questa la denominazione
attribuita alla azienda mortarese – col tempo aveva consolidato la sua posizione, tanto da essere prima
nell’Europa Continentale e terza nel mondo per la produzione di biscotti, venduti anche negli Stati Uniti
col marchio LU - Burry LU - Mother’s LU, e in Giappone col marchio Glico LU. La Generale Biscuit aveva
aperto stabilimenti, oltre al nostro, anche in Francia, Belgio, Olanda, Austria e Spagna. Realtà tuttora
operanti, a differenza, purtroppo, di quella mortarese, legata unitamente ad altre fabbriche cittadine, ad un
tragico destino di chiusura.

Già si è detto della costante presenza nel tempo di collaboratori che, con il loro acume, unito ad un’innegabile professionalità, hanno contribuito, per quanto di loro competenza, alla realizzazione di programmi e progetti a beneficio di questa importante realtà produttiva.
Per quanto attiene al nuovo stabilimento, non posso esimermi dal ricordarne almeno tre:
Il Luciano.
Termoidraulico dotato di intelligenza pronta e vivace, pari alla sua piacevole stravaganza. Ebbe il merito di
aver risolto diverse situazioni di estrema emergenza:
- riattivando il meccanismo di condizionamento temperatura/vapore nella cella di fermentazione dei panettoni;
- determinando, con l’ausilio di un pirometro termoelettrico, la temperatura delle piastre del forno cosiddetto
“a tanks” (cioè a serbatoi);
- operandosi costantemente per la gestione della grande centrale elettrica annessa allo stabilimento.
Il Giancarlo.
Tecnico delle macchine impacchettatrici: a lui va il merito di aver organizzato un gruppo automatico per la confezione di astucci atti a contenere biscotti in assortimento, con l’invidiabile capacità di illustrami ogni progetto proposto, con disegni geometrici a mano libera così accurati, da sembrare eseguiti con riga e compasso.
Il Tino.
Vero deus ex machina dei lieviti, successivamente titolare apprezzato dai mortaresi della rinomata “Pasticceria Raffaghelli”. Fu anche grazie a lui che il marchio Guglielmone (come produttore di panettoni) continuò a prosperare con immutato gradimento presso i consumatori, anche stranieri, consapevoli della specificità di questo prodotto che ci è sempre stato invidiato.

Erminio Guglielmone tra i suoi operai con monsignor Luigi Dughera e il vescovo di Vigevano

Siamo così arrivati al 1984. In concomitanza con un’epoca grigia e tristemente profetica sul piano della
futura crisi occupazionale, la storia della Guglielmone giunge al capolinea. L’azienda che aveva inondato
per anni la città col fragrante aroma della vaniglina chiudendo i battenti, lascerà i cittadini, sgomenti, al
cospetto di altri e certo meno edificanti olezzi.
Sic transit gloria mundi! (Fausto Ciniselli)




2 commenti:

  1. Con Mons. Dughera, parroco di S. Lorenzo, non è il Vescovo di Vigevano, ma quello di Casale, Mons. Giuseppe Angrisani. In quel momento la sede Vescovile di Vigevano era vacante per decesso del Vescovo. (Cordiali saluti Mons. Paolo Rizzi)

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