Milano Centrale in viale Premuda?
Sarà per celia o un po' per non morire ma ci vogliamo divertire con i nostri preziosi lettori avvalendoci di una piccola ucronia per osservare una: - Storia che non ha sfruttato una Geografia - e le relative conseguenze di questa scelta, conseguenze forse non auspicabili, ma possibili.
C’è stato un momento in cui la Milano ferroviaria poteva realizzarsi in modo diverso.
Molto diverso. Forse anche migliore e facendo risparmiare somme interessanti. E invece l’attimo è fuggito, il diem non è stato “carpito”. Peccato.
Peccato? Vediamo.
È il 1856, da quattro anni il governo dell’impero austriaco aveva dovuto caricarsi sulla groppa finanziaria le ferrovie in costruzione nel Lombardo-Veneto (Milano-Como e Milano-Venezia) e non solo quelle.
Presto comprendendo di aver fatto un pessimo affare, Vienna cercò di liberarsi dal pesante gravame cedendo quasi l’intera struttura ferroviaria imperiale, fatta e da fare, ad un consorzio di finanzieri. Il 14 marzo costoro, sottoscrissero col Governo la Convenzione concernente l’assunzione, la costruzione e l’esercizio delle ferrovie nel Regno Lombardo-Veneto,
Tre giorni dopo, il 17 marzo 1856, assieme agli altri quattro “Eccelsi Governi” (Stato
Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Modena e Ducato di Parma) Vienna si liberò anche dei gravami provenienti dalla linea Piacenza-Bologna-Pistoia che dal 1851 forniva tanti grattacapi tecnici e finanziari. Soprattutto finanziari. Dopo queste firme il Consorzio dei “sullodati Signori” costituì la Società per le Strade Ferrate del Lombardo-Veneto e dell’Italia centrale.
Le condizioni della Convenzione erano di interesse sia per il governo imperiale che per la costituenda società ferroviaria, che “accettava” (ma quasi certamente richiedeva) “il permesso di costruire intorno a Milano una Strada ferrata di congiunzione e di fabbricare ivi una stazione centrale”. (Convenzione Art. 27).
I sottolineati sono miei in quanto, ad un certo punto, mi sono chiesto: “Perché mai una società ferroviaria, con davanti a sé onerosissimi lavori e investimenti, pur avendo a disposizione impianti già attivi e progetti già pronti (Convenzione, Art. 5. “Si metteranno eziandio a disposizione dei detti Signori tutti gli studj preliminari concernenti la rete delle Strade ferrate Lombardo-Venete, nonchè ogni altro documento relativo esistente presso le autorità…)” ha “accettato”, o meglio ha deciso e richiesto, di costruire una Strada ferrata di congiunzione e, soprattutto, una nuova stazione?”
Vediamo la situazione ferroviaria milanese nel 1854-56.
Nel 1850 era stata chiusa la prima stazione di Porta Nuova, quella della linea Milano-Monza aperta nel 1840, ed era stata attivata una seconda “Milano Porta Nuova”, a poche decine di metri di distanza, per gestire il traffico della linea Milano-Monza-Como. Questo impianto era posto in modo da poter (come poi accadde) gestire anche il traffico della costruenda linea “da Milano al confine Sardo presso Buffalora, onde congiungersi colla strada ferrata Sarda per Torino, con una diramazione per Sesto Calende” (Convenzione, Art. 20 b).
Milano Porta Nuova (1850) aveva cinque binari da Como e due o tre perpendicolari in arrivo da Boffalora e Gallarate. Per quanto riguardava l’area nord-ovest quindi, la città non aveva una stringente necessità della nuova stazione Centrale.
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| Foto 3 – Il fabbricato della stazione si può vedere anche oggi meglio mostrare alcuni antichi dettagli architettonici. |
Era però vitale poter far passare i treni da e verso l’area sud-est. Proprio per ottenere questo “Passante” si sarebbe costruita la Strada ferrata di congiunzione. Questa doveva essere una breve ferrovia di un paio di chilometri, di cui si parlava da oltre vent’anni, e che avrebbe dovuto, appunto congiungere Milano Porta Nuova con l’altra stazione in attività: Milano Porta Tosa.
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| Foto 4 – Schema di un progetto di unione di Porta Nuova con Porta Tosa (realizzato nel 1859 per alcuni anni) |
Milano Porta Tosa, gestendo a malapena tre -a volte quattro- coppie di treni al giorno, dal 1846 serviva solo la tratta Milano-Treviglio, tronco abortito dalla Ferrovia Ferdinandea, Venezia-Milano. Ma la Convenzione prevedeva altre linee interessanti Milano e dirette verso sud: Milano-Piacenza-Bologna, Milano-Genova e altre minori come Treviglio-Soresina. Congiungendo le due stazioni della città si creava il passaggio fra le due linee già attive del Lombardo-Veneto e si ponevano i presupposti per gestire quelle che si prevedeva di costruire. Unico intoppo, la necessità di mantenere due stazioni fra le quali far rimbalzare i treni e le manovre.
Bene, quindi, la “Strada ferrata di congiunzione”. Ma “Perché una nuova stazione?”
Banalmente, perché, parafrasando, uan is megl che two, una stazione è meglio di due. Una stazione grande ha costi di gestione minori di due piccole.
Banalmente, è sufficiente un Capostazione, basta un Deposito Locomotive. E così via.
Milano Porta Nuova era di dimensioni piuttosto ridotte e avrebbe faticato ad assorbire il previsto ulteriore traffico oltre a quello proveniente da Como, Torino e
Gallarate. Per di più la Convenzione stessa (Art. 21) prevedeva la pur vaga possibilità di far convergere anche il traffico di Venezia non più su una Porta Tosa che diventava inutile ma, attraverso un molto discusso tracciato -attenzione! - Brescia-Bergamo-Monza-Milano (Porta Nuova).
Se Porta Nuova era un impianto troppo piccolo; Porta Tosa viveva un’esistenza derelitta e provvisoria, con i suoi pochi, limitati, costosi e deficitari treni-spola su Treviglio. Era costosa e quindi dannosa. Da eliminare senza pietà. Anziché una Strada di Congiunzione era preferibile una Linea di Circonvallazione. Quella che venne costruita fino a Bivio Acquabella.
Il risultato fu una rivoluzione ferroviaria.
Uan is megl che two!
Porta Nuova fu alienata. Porta Tosa non fu mai terminata e in seguito l’intera estensione del terreno fu frazionata e venduta. In mezzo a polemiche, progetti, ricorsi e carte bollate che ho narrato in un denso capitolo del libro sopracitato, si costruì quella Milano Centrale che fu aperta nel 1864 e che in breve tempo si dimostrò, a sua volta, insufficiente.
Con Milano Centrale (1864) i progettisti della Ferrovie del Lombardo-Veneto e dell’Italia centrale volevano una stazione passante, e non di testa per eliminare il problema caratteristico di questo tipo di stazione: il cambio della direzione dei treni, con le manovre, i relativi ingombri di piazzale e perditempi. L’ottennero, ma mancarono di coraggio e preveggenza.
Così Milano ebbe, sì, una grandiosa stazione “passante”, ma limitata a sei binari di cui solo quattro dotati di marciapiede e atti al servizio viaggiatori. In breve tempo, poco più di vent’anni, le insufficienze strutturali della vecchia Centrale portarono alla necessità di costruire una nuova Centrale. Quella odierna. Nel 1898 fu formata un’apposita commissione ma per vari motivi la stazione fu aperta solo nel 1931 (così i nostalgici sono convinti che l’abbia costruita LVI).
Anche per questa nuova Centrale le polemiche furono infinite soprattutto perché il progetto poneva l’impianto ancora più lontano dal centro e richiedeva lo spostamento del “Trotter”, la vasta area dedicata all’ippica, al ciclismo e che ha visto le prime partite di calcio del Milan. Così la nuova Milano Centrale tornò a essere una stazione “di testa”. Come Porta Nuova e come Porta Tosa. E allora, tanto valeva, no?
Il mercato ferroviario dell’epoca, però, dava queste indicazioni e la gigantesca evoluzione avvenuta in seguito non poteva essere prevista in un’Italia agricola, poco agganciata alle grandi correnti di traffico, con una rete ferroviaria rachitica e quasi indegna di tale appellativo. Ad un’Italia alle soglie della seconda Guerra d’Indipendenza, in una Milano che chiudeva dentro le mura tutti i suoi circa 170.000 abitanti, più che coraggio sarebbe servita molta fantasia.
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| Foto 7 - Facciata della Stazione Centrale di G. B. Bossi pensata dentro i Bastioni a pochi metri da Piazza Fontana. |
Ci andò vicino l’ingegner G.B. Bossi di Cucciago con il suo progetto, pubblicato nel 1856 ma da lui elaborato anni prima, che proponeva appunto una Centrale a Porta Tosa. Con il torto, però, di una limitatissima e obsoleta visione, ripresa da quella di Carlo Cattaneo, il quale nel 1836, in “Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia”, osservava che: “Il pensiero di penetrar nel cuore della città per l’ampio e spopolato Corso di Porta Tosa, è commendevole pel trasporto dei passaggieri, i quali non amano di essere scarrozzati in un remoto sobborgo”.
E l’idea di G.B. Bossi era di portare il Fabbricato Viaggiatori e quindi le vaporiere dentro le mura, dalle parti di Piazza Fontana. Si sarebbero dovuti perforare i Bastioni e gli spazi inedificati erano meno estesi che fuori le mura e quindi più costosi. Inoltre, guarda un po’, sarebbe stata una stazione di testa… Anche lei.
D’altra parte, oltre che riduttivo, lo sforzo progettuale di Bossi era del tutto inutile perché in quello stesso 1856 era già stato deciso che la Centrale (1864) sarebbe sorta dove poi venne costruita. Con i vantaggi dei binari passanti e gli svantaggi della loro scarsa quantità.
E invece, l’attimo (un attimo di 15 anni) è fuggito e Porta Tosa non ha potuto offrire
alla città i più preziosi servizi che avrebbe potuto dare.
Nel 1856, più ancora dal 1864, e per molti anni a venire, fino alla vendita, l’area della stazione di Porta Tosa era quasi completamente dedicata a campi e sterpaglie; il suo ipotizzabile prolungamento, i terreni verso l’odierno Piazzale Susa, era perfino meno urbanizzato della gigantesca area dove sorse Milano Centrale (1931). E ancora, tenuto conto che l’intera area di Porta Tosa, ovvero circa un terzo della Centrale di oggi, era già di proprietà della Società ferroviaria e sarà poi venduta, nel 1884, per poco più di 200.000 lire (di allora) viene da pensare a quale risparmio si sarebbe generato.
Due impianti di larghezza uguale! E Porta Tosa, usata come “Centrale” avrebbe portato il fabbricato viaggiatori e quindi i treni, tutti i treni, da tutte le direzioni, a pochi metri da viale Premuda e a due passi dal Duomo. Molto più comodo, più… Centrale.
La differenza la fa, naturalmente, la diversa lunghezza delle aree ferroviarie. Il terreno di Porta Tosa era lungo circa 700 metri mentre la Centrale di oggi abbiamo visto quanto sia lunga. Però, per allungare l’area di Porta Tosa lo spazio libero c’era senza spostare gli impianti sportivi, senza abbattere edifici e riqualificando un territorio da sempre considerato poco salubre.
Nella visione collettiva, Porta Tosa, mai terminata, era vista un po’ come sussidiaria
di Porta Nuova e quindi sacrificabile senza rimpianti. Con solo un poco di fantasia non era impossibile, invece, invertire la standardizzata visione e pensare che poteva essere Porta Nuova a scomparire e “inviare i treni” a Porta Tosa, stazione che aveva in nuce tutte le caratteristiche di spazio e posizione per diventare lei “Milano Centrale”. Addirittura. La Centrale 1931. Nel 1856.
Compariamo le dimensioni di Milano Centrale attuale e di Porta Tosa nel 1846.
La Centrale odierna ha un fronte di 230 metri circa e si prolunga con un rettangolo di circa un chilometro e mezzo per arrivare al punto in cui i binari cominciano a divaricarsi.
Per ottenere questo risultato fu distrutta la vecchia Centrale del 1864, allungate e allargate strade, spostato un impianto ippico e sportivo, abbattute alcune case e cascine.
Per contro, Porta Tosa già insisteva su un terreno con un fronte di dimensioni simili,
225 metri, e si protendeva in un rettangolo da viale Premuda per terminare con una punta scambi che sarebbe posta, oggi, fra via Fratelli Bronzetti e la parallela via Poma.
Mantenendo le dimensioni, i binari avrebbero cominciato a divaricarsi più a est di dove oggi (oggi!) abbiamo Piazzale Susa e dove peraltro già passavano i binari della linea di Venezia che si inoltravano dove (oggi!) corre Viale Argonne. La linea di Piacenza poteva essere spostata leggermente più a est rispetto a Piazzale Susa e non lontano dalla linea per Rogoredo costruita nel 1861. Non sarebbe stato difficile riallacciarsi a quella. La sola direttrice che sarebbe notevolmente cambiata sarebbe stata quella per Torino e Como che, partendo circa da oltre Piazzale Susa, poteva percorrere la traccia seguita oggi da viale Romagna o via Aselli per dirigersi a est. Poi lungo l’odierna via Plinio o altro percorso simile, ci si poteva congiungere alla vecchia linea per Torino dalle parti dell’attuale Scalo Certosa.
Copiando la Centrale odierna, inserendola sulla pianta di Milano sul terreno della vecchia stazione di Porta Tosa e facendo in modo che il Fabbricato Viaggiatori sia aderente a Viale Premuda si ottiene un’idea di quanto fosse possibile ottenere nel 1856. Fermo restando che, se necessario e opportuno, si poteva seguire un tracciato più esterno e si potevano costruire una o più stazioni minori con un servizio simil-metropolitano, ad esempio, dove oggi sorge piazza Duca d’Aosta, Farini e così via. Nel 1856! Sei anni prima di Londra, inaugurata 1863.
Un’altra prospettiva che può incuriosire, ma è solo una curiosità scaturita dal gioco delle ipotesi, è lo sviluppo dei binari. Poteva essere diverso in mille modi ma, se mantenuto nella forma e nelle proporzioni come nella figura, sarebbe stato possibile perfino evitare la costruzione del cavalcavia sul Lazzaretto, mantenendo lo storico monumento perfettamente integro con i treni che potevano passare a una buona distanza. E, chissà, forse non sarebbe stato preda di speculazioni edilizie e tenuto ancora lì a ricordare da vicino l’opera di Manzoni.
I milanesi forse rabbrividiscono, ma non vedo nulla di strano; la città si sarebbe solo
evoluta in modo diverso. Ad esempio, Via Gluck forse sarebbe sorta nello stesso luogo ma Celentano non avrebbe cantato l’”amico treno” perché non sarebbe partito da Milano Centrale, vicino a casa sua. Ma forse poteva passare attraverso! Quella strada, quella casa.
Altre erano le necessità, altre erano le possibilità, nessuno ci ha pensato al momento opportuno. Peccato, piccola grande e sfortunata Tosa-Cenerentola.
Vi saluto e vi lascio giocare con la fantasia su quello che poteva essere e non è stato.
Queste righe sono state solo un leggero passatempo, ma pensiamoci bene prima di
chiudere stazioni e linee!
21 ottobre 2025.





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