sabato 24 dicembre 2011

Auguri Longobardi

Anche questo piccolo Santo Natale di questo piccolo 2011 è sul filo del divenire
parole di gaudio e giubilo anfananti vanno nei nostri cuori.

Possa il Sole delle Alpi sorgere fulgente su quella terra nostra di Lombardia che amiamo e viviamo.


Con questa immagine ripresa da un affresco della cascina Runcata in St. Ulrich in Gröden, nel comune di Ortisei in Val Gardena, accompagnamo i nostri più fervidi voti di liete Feste e miglior anno nuovo 2012.

L'uomo che Abolì il Natale

Racconto natalizio di Susanna Federici scritto nel 1990 in occasione del I° Premio Narrativa del Lions Club Milano Duomo, nell'ambito del quale fu insignito della Menzione d'Onore.
Questo il testo della Motivazione:
In questa storia grottesca, intonata ad una corrente di umorismo fiorita
negli anni contemporanei, e congeniale anche a certe forme di teatro
cameristico, l'Autrice ha saputo evitare con leggerezza i possibili spunti
dissacratori, approdando ad una morale in gran parte vera e accettabile: e
cioè che non vi può essere festa, e soprattutto una festa così importante,
senza una partecipazione vera ai fatti che ne stanno all'origine. Perdendo
il senso di quei fatti, tutto può diventare squallidamente banale, anche a
Natale. E allora tanto vale ricordarsene solo quando ci si arriva col
pensiero e col cuore. Anche indipendentemente dalle intenzioni
dell'Autrice, il messaggio dovrebbe
essere questo. Per questi valori, la Giuria ha ritenuto questo racconto
meritevole della Menzione d'Onore per la sezione "Narrativa".
 
 
Il ragionier Gesuino Poli odiava il Natale. Lo odiava per numerosi motivi che risalivano ai primi anni della sua vita e che gli rendevano la festa sempre più invisa man mano che il tempo passava.
Innanzi tutto, il ragionier Gesuino era nato il 25 dicembre di cinquant’anni prima: sua madre, assai devota, aveva salutato la coincidenza come un segno del cielo che il suo primogenito sarebbe divenuto papa; così, la pia donna aveva imposto al neonato il nome di Gesuino, aggiungendo a questo primo strazio il successivo, e più grave, di fornirlo di un secondo nome, Natale. Con una simile sequenza, Gesuino Natale ringraziava il cielo di avere un cognome anonimo come Poli: chiamarsi Campana o Pasquali, in simili circostanze, sarebbe stato oltremodo increscioso. Oggetto di scherno dei compagni, Gesuino si sentiva un po’ come Gertrude, condannata a una vocazione tanto meno sentita quanto più era auspicata dalla madre. Nel suo caso, poi, non c’erano neppure patrimoni da mantenere integri, perché la famiglia Poli aveva solo qualche gallina, un maiale e un pezzo d’orto, ma ugualmente la pressione era forte. A salvare Gesuino intervenne il parroco del paese che, intuita la totale disaffezione del ragazzo alla la vita clericale, aveva caldamente sconsigliato la sua entrata in seminario. E così il prete mancato divenne ragioniere, mantenendo però la sua ridondante coppia di nomi di battesimo.
Altra ragione dell’odio era che, proprio un giorno di Natale, il grande amore della sua vita lo aveva respinto ed il rifiuto gli aveva reso immangiabili il tacchino e il panettone dei quali era, altrimenti, ghiottissimo. Rosalba si chiamava, la crudele, e Gesuino, per disperazione, s’era rassegnato a corteggiare Caterina che, appena diciottenne, mostrava già difetti tremendi, resi tuttavia sopportabili dalla giovane età. Ma ora Caterina aveva quarantacinque anni, emetteva parole a raffica, quasi urlando e le rare volte che qualcuno tentava di interloquire, veniva platealmente ignorato. Iniziava e finiva qualsiasi frase con la stentorea affermazione “Io lo so!” anche quando non sapeva in realtà nulla; Gesuino fremeva ma, alla fine, sopportava per quieto vivere: in fondo la Caterina era una brava cuoca e teneva puliti e ben pasciuti i figli del ragioniere.
Ma c’era, oltre a questi, un motivo più sostanziale e profondo perché Gesuino odiasse il Natale. Nonostante l’assenza di vocazione, egli era sinceramente devoto e credente e lo disturbavano la cagnara e la stupidità della gente in occasione della festa, svuotata ormai di ogni senso religioso e ridotta ad una corsa affannosa al cenone ed ai regali  (Gesuino era anche un po’ spilorcio e tutti quei doni obbligatori lo infastidivano). Gli pareva un’offesa al Signore questo ricordare la sua nascita con tanta mondanità e gli faceva pena il bambinello paffuto di ceramica che sorrideva nel presepe della parrocchia. “E sì, poveretto - diceva - tu sei nato nella paglia, al freddo e al gelo, mentre qui tutti, con la scusa di festeggiarti, si fanno regali principeschi e si rimpinzano come oche!” A Gesuino veniva voglia di coprire quel bambinello ignudo col suo cappotto, ma poi lo sfiorava il dubbio che a Betlemme non facesse poi così freddo, anche d’inverno. Il ragioniere aveva l’incubo del freddo: era nato e sempre vissuto a Tartogne Iseo, un paesotto del bresciano che, nonostante il nome, si trovava a ben venti chilometri dal lago, nella nebbia padana, tetro come pochi d’inverno e allietato unicamente dalla Sagra della Tinca, il 3 novembre, quando cestoni di pesce arrivavano, non però freschi dal lago, bensì congelati da Milano.

Per tornare alle ubbìe di Gesuino, egli era ulteriormente disgustato dal fatto che a Tartogne - e in tutto il mondo, temeva - la gente traboccava di malanimo l’un verso l’altro, ma fingeva in occasione del Natale una intensa spiritualità ed una filantropia francescana. Era rimasto impresso al ragioniere il caso del geometra Lombardotti che, l’anno precedente, prima della Messa di mezzanotte, aveva fatto a pugni con un tale colpevole di avrgli occupato con scatto fulmineo l’unico posto libero davanti alla chiesa: il Lombardotti, sostenendo di avere per primo visto il parcheggio, era passato alle vie di fatto e aveva mandato all’ospedale col naso rotto il malcapitato avversario. S’era poi recato in tutta tranquillità e con aria umile e devota alla celebrazione natalizia. Per ironia, il geometra non era stato neppure condannato a pena alcuna perché, pur denunciato dalla vittima del pestaggio, si era rivolto all’avvocato Veriggi, una serpe, ma abilissimo, al punto che riuscì a far attribuire il torto tutto alla controparte.
A Tartogne Iseo c’erano muri divisori tra le proprietà che facevano invidia a quello di Berlino per continuità e sgradevolezza architettonica (naturalmente i progetti erano del geometra Lombardotti); c’erano state cause in tribunale per pochi centimetri di spazio occupati dalla siepe del vicino; mariti e mogli si tradivano allegramente, quasi vantandosene; chiunque potesse parlar male di qualcun altro ne era felicissimo e l’usura - nessuno la chiamava così, erano prestiti agevolati - era praticata regolarmente. Ma a Natale i Tartognesi divenivano, almeno a parole, un esercito di pie donne e di santi uomini, facevano offerte in  parrocchia, portavano doni a ospizi e orfanotrofi e le Ostie della Comunione non bastavano mai.

Gesuino non ne poteva più: il sogno della sua vita era di passare il 25 dicembre al Cairo dove, a parte qualche Copto, il Natale non sapevano cosa fosse e per giunta faceva un bel caldo rigenerante, ma portare Caterina in Egitto nenache da parlarne e andarci da solo neppure lontanamente immaginabile.
C’era però un’idea che da anni maturava nella sua mente e prendeva forma sempre più precisa e definita: abolire il Natale, cancellare quella fiera delle vanità, delle falsità e degli obblighi parentali che tanto immalinconivano Gesuino. Ma come abolirlo? Era impresa ardua, perché esisteva da tanti secoli ed era radicato nella gente. Bisognava lavorare con pazienza e meticolosità ed il successo non era neppure garantito, ma il ragioniere ci voleva provare. Si mise all’opera dopo le ferie estive ed iniziò con le lettere anonime.
La prima fu inviata al geometra Lombardotti che, quando vide la busta con le lettere incollate ritagliate dai giornali, pensò con terrore che il suo ultimo abuso edilizio fosse ststo scoperto; sulla coscienza ne aveva molti, di questi abusi, ed anche tutta una serie di altri misfatti. Perciò, aprendo la lettera, fu con un sospiro di sollievo che che lesse: “Idioti! Gesù non è nato il 25 dicembre!” Arrivarono ai Tartognesi centinaia di lettere analoghe. Sulle prime la gente ci rideva sopra, pensando ad un mitomane. Il parroco mise più volte in guardia i fedeli e li assicurava che il 25 dicembre era l’unica vera data e che le lettere erano uno scherzo di dubbio gusto. Ma queste continuavano ad arrivare e i tartognesi, che non brillavano d’acume, iniziarono a nutrire qualche sospetto. Se fossero stati cinefili, un certo vecchio film avrebbe potuto aiutarli, ma difficilmente in paese si assisteva a spettacoli che non fossero varietà o quiz.
Gesuino aveva speso un capitale in carta e francobolli, ma non gliene importava: persino la sua taccagneria passava in secondo piano davanti al colpo di genio della sua vita. Aveva naturalmente scritto anche a sé stesso, per rendersi insospettabile, e la Caterina aveva reagito con virulenza popolana stracciando la lettera e lanciando epiteti irriferibili al misterioso mittente.

Il secondo atto fu più elaborato: Gesuino contattò un vecchio compagno di scuola, certo Bartoli, il burlone della classe col quale ogni tanto s’incontrava. Il Bartoli, opportunamente travestito, a fine novembre si presentò alla radio locale spacciandosi convincentemente per esperto teologo ed esibendo attestati e curricula degni di immensa considerazione. “Avendo saputo - diceva - che in questo paese qualcuno ha coraggiosamente voluto smentire la storica data del Natale, io avrei delle precisazioni da fare che potrebbero chiarire la faccenda”. A Radio Ganimede non aspettavano altro: che scoop, che pubblicità! Così il Bartoli parlò per tre quarti d’ora in diretta dicendo che, seppure il 25 dicembre fosse la data più accreditata, tuttavia alcuni sostenevano… altri dicevano… insigni storici… dotti teologi… persino in un’oscura pagina di Sant’Agostino… Insomma, non disse nulla di concreto, ma lo disse molto covincentemente ed il risultato fu che alcuni cominciarono a scambiarsi i regali all’ Immacolata Concezione e prenotarono l’albergo in montagna dal 20 dicembre; tanto, se il Natale non era il 25, non c’era più l’obbligo di passare quella giornata coi famigliari.
Il parroco era disperato; a Gesuino spiaceva perché era nipote di quello che anni prima lo aveva sottratto all’abito talare, ma non poteva farci nulla. Si compiaceva, anzi, di come tutto l’ingranaggio stesse funzionando bene.

L’ultimo e più grave colpo fu la pubblicazione di un libro dal titolo Natale a Ferragosto? che un altro amico di Gesuino, tipografo, aveva stampato in poche copie e distribuito soltanto alle due edicole-librerie di Tartogne (di librerie vere, naturalmente, non ce n’erano).
Il libro andò a ruba, fu un successo e quasi quasi il nostro rimpianse di averne fatti così pochi esemplari. Ma passaparola e fotocopie lavorarono ugualmente. Il parroco depose le armi e si rassegnò all’ineluttabile: il 25 dicembre niente Messa solenne, ma una manifestazione popolare inneggiante al Natale Libero. Il paese si spopolò per le vacanze ed il presepe venne smontato prima dell’arrivo dei Magi; niente alberi, niente luminarie, negozianti inferociti, ma Gesuino aveva vinto. Passò il giorno di Natale non come prima da zia Marta, ma beatamente leggendosi un giallo di Agatha Christie solo e tranquillo - anche la Caterina era scesa in manifestazione per il Natale Libero. Poi, verso sera, passò in chiesa a chiedere perdono a Dio, sostenendo però che tutto era nato per amor suo: “Tanto non era festeggiata la tua nascita, ma un’occasione come un’altra per crapule e stravizi. E’ meglio così, credimi!”

E poi successe una cosa strana: i tartognesi, liberati dal vincolo, si misero a celebrare il Natale quando volevano, a marzo, in agosto, facendo l’albero e il presepe; pregavano davanti alla capanna, si scambiavano regali modesti, ma di cuore e dicevano ai figli: “Oggi è un gran giorno: è nato Gesù e ha cambiato la storia del mondo!”.
Gesuino, capitato il 15 maggio a casa del Lombardotti, si vide offrire una fetta di panettone mentre il geometra sorridendo gli diceva: “Oggi è Natale, ragioniere; faccia festa con noi!”.

Quando la crisi non risparmia nessuno

Un gustoso racconto natalizio di Rolando di Bari


Melkon affrettò il passo. La strada da fare per arrivare al punto d’incontro con l’amico era fuori città, e aveva ancora un bel po’ di cammino da percorrere. Ed era in spaventoso ritardo.
Si era fermato al bar a bere un caffè e a chiacchierare con alcuni conoscenti, e non si era reso conto che il tempo passava in fretta. D’altro canto, fuori faceva un freddo polare, tirava un vento gelido e aveva già iniziato a cadere qualche fiocco di neve, mentre l’interno del locale era caldo, accogliente… Imprecò dentro di sé. Proprio una sera simile dovevano scegliere per rendere visita… A qualcuno che nemmeno conoscevano, poi! Ma l’amico che lo attendeva aveva più volte ripetuto e affermato che non si poteva rinviare. A certi eventi bisogna partecipare di persona, e arrivare per tempo.
Era inutile recriminare. Accelerò l’andatura, scivolando spesso sul nevischio che cominciava a ricoprire le strade deserte. A quell’ora, e con quel tempo, la gente se ne stava rintanata in casa, magari con i piedi sotto a una tavola imbandita di ogni ben di dio. Dopo qualche tempo le case cominciarono a diradarsi, fino a scomparire. Nonostante non ci fossero né luna né stelle, né fisse né cadenti, nella semioscurità riconobbe la zona dell’appuntamento.
L’amico era stato più puntuale di lui. Era già lì, in piedi vicino a un albero, nell’esatto punto dove la strada si biforcava, dividendosi in due tronconi che andavano a perdersi nel buio. Balthasar pestava ritmicamente i piedi, nel tentativo di evitare di congelarsi in mezzo a quella tormenta.
« Ciao. Sei in ritardo. »
« Lo so. Scusami. Ho avuto qualche contrattempo. » Il freddo gli gelava anche il cervello, e non riusciva a trovare una scusa più plausibile.
« Ma vedo che non è ancora arrivato neppure Gaspar. La roba l’hai portata? »
« No; ho chiesto a lui di portarla. Dovremmo incontrarlo poco più avanti. Lui è partito prima. Ha detto che, dovendo portare il carico, era più lento di noi.
« Ma sei sicuro che ci si possa fidare? Lo conosci bene, quel nero? »
« Stai tranquillo. Non fare caso al colore della pelle. È un brav’uomo, preciso e affidabile. Vedrai che ha tutto. »
Intanto si erano rimessi in cammino, prendendo la strada che portava verso oriente. Tacquero per un po’, poi Melkon non poté trattenersi dall’esternare le sue perplessità.
« Secondo me sarebbe stato meglio rimandare. Con questo tempo la roba si inumidirà, andrà a male. Faremo una figura meschina. »
Balthasar non rispose. Nel nevischio gli era sembrato di intravedere alcune ombre.
Non si sbagliava. Dopo qualche istante davanti a loro si materializzò un uomo che teneva per le briglie un asino. Dalla groppa del quadrupede pendevano alcune sacche. Melkon si stizzì. Apostrofò l’ombra scura davanti a lui:
« Ma, dico, non potevi prendere l’automobile? Cos’è, ti seccava sprecare la benzina? »
Gaspar sorrise.
« Ma no! Mi è sembrato che questo mezzo fosse più adatto al luogo verso cui stiamo dirigendo e alle persone che dobbiamo incontrare. E con l’asino non c’e il rischio di slittare sul fondo viscido e di finire fuori strada. »
« Avresti potuto montare le catene sulle ruote. In auto, almeno, avremmo patito meno freddo. E la roba che avete deciso di portare in regalo a quella gente non avrebbe corso il rischio di deteriorarsi. »
Balthasar intervenne:
« Finitela. Va bene così. E poi l’oro non si deteriora… »
Gaspar lo interruppe:
« Come, oro? Con tempi che corrono e dopo un’annata come questa? Incenso e mirra potevano anche andar bene, ma l’oro… Io ho cercato di contenere la spesa. Ho portato delle azioni. »
Melkon e Balthasar domandarono all’unisono:
« Azioni? Che azioni? »
« Dubai World. »
E fu così che il piccolo destinario dei regali, nato già di suo non troppo fortunato, nudo, al freddo, senza neppure il materasso ma soltanto un po’ di paglia per giaciglio, povero era e povero rimase.