Milano aveva una vera e propria
venerazione golosa per la panna , tanto da spingere il Foscolo a
soprannominarla “Paneropoli” e ad accomunare la gola dei cittadini ambrosiani
alle mollezze ed ai vizi degli antichi patrizi romani, additando allo smodato
uso di panna una presunta decadenza di usi e costumi cittadini, al di là della
feroce satira del Foscolo, del resto veramente poco attendibile come
moralizzatore, il latte, per quanto in forma liquida, è il primo e più
importante alimento dell’uomo che ne fa conoscenza fin dai primi vagiti,
attaccandosi alle poppe della madre e servendosi a sazietà fino
all’inevitabile..ruttino.
Milano, ancora ai primi del
Novecento era circondata di cascine con annessa azienda agricola funzionante,
quindi l’approvvigionamento di latte non presentava certo problemi, bastava
dotarsi di apposito contenitore e recarsi in una di queste cascine, la mattina
presto, per acquistare la propria dose quotidiana di latte appena munto, quello
vero, che faceva una panna così…
C’era anche la possibilità di servirsi dai
pastori stessi che con le loro bestie frequentavano le periferie, allora prima
di andare a scuola o al lavoro, si poteva mungere direttamente la propria
porzione di latte di capra o di mucca, quei pastori erano detti bergamini
perché spesso dalla città di Bergamo avevano la loro origine, ed ancora oggi
esiste una formaggella detta proprio bergamina.
Ma, si sa, i vecchi sistemi, per
quanto assicurino gusti e sapori oggi non più raggiungibili, non erano certo
dei più igienici, tantomeno commercialmente convenienti, così si decise di
provvedere…
La Centrale del
Latte
Vera istituzione meneghina la Centrale del Latte
sorge in viale Toscana fin dalla sua fondazione nell’anno 1927.
Nei tempi precedenti il latte passava direttamente
dal produttore al commerciante con tutti i problemi igienici che questo
traffico comportava e la nuova istituzione risolse definitivamente il problema
perchè già da allora era dotata di un impianto di lavorazione fra i migliori
d’Europa.
Nel 1929 fu data in appalto per 20 anni alla
“Societa’ Anonima Centrali del Latte, che riuniva latifondisti e grossi
allevatori lombardi con l’esclusiva della vendita entro la cinta daziaria.
Scaduto il contratto nel 1950 il Comune tolse quel
monopolio per esercitare in prima
persona un’attenta selezione del Prodotto. Nel 1957 accanto al vecchio
stabilimento entro’ in funzione il nuovo, disposto su un area di 3 ettari e
mezzo in via Castelbarco.
Morivione ed i
lattai
In via dei fontanili sopravvivono i resti di una
chiesetta rurale detta Sacra Famiglia in Morivione, attualmente chiusa perché
pericolante.
Il Ponzoni, nel suo libro “Chiese di Milano” lo data
al 1786 anche se da alcuni documenti risulta essere più antico se fu ampliato
nel 1676 (Arch. Curia Arciv.).
E’ una
chiesetta a navata unica, con il tetto sporgente ed una facciata sobria, ha una
pregevole pala a bassorilievo che rappresenta la sacra famiglia.
Il nome deriva dal testo di una lapide “Qui Morì
Vione”, che in tempi antichi indicava il luogo ove questo personaggio passò a
miglior vita, e finì per indicare il circondario stesso.
Vione, chi era costui?
Esistono diverse versioni a tal proposito Forse Vione
era un generale Franco che rimase ferito durante i sanguinosi combattimenti
contro i longobardi di re Alboino e che giunse stremato durante la ritirata a
Milano solo per morire di cancrena sulle rive del Ticinello.
Secondo un’altra tradizione tal Vione Squilletti era
un mercenario veneto che alla guida dei suoi sgherri saccheggiava il territorio
del milanese finchè non fu sconfitto ed ucciso dalle truppe di Luchino Visconti
nella località suddetta.
Terza versione, quella popolare e quindi per noi più
accreditata, tramanda che questo Vione fosse un feroce bandito che alla guida
di 600 masnadieri avrebbe tentato addirittura di impadronirsi della città, era
il 1236 ed il 23 aprile, giorno di San Giorgio,unico punto in cui le tre
versioni trovano accordo, ed il brigante trovò la morte in quel borgo racchiuso
fra la Vettabbia ed il Ticinello, e qualcuno per rammemorare la sospirata
liberazione dalle angherie di quel losco figuro incise la lapide di cui sopra.
Si dice che in quel giorno le campane suonassero a
festa e che le donne del borgo offrirono ai soldati che le avevano liberate
latte fresco, panna e uova.
Nacque così una festa che ancora negli anni venti del secolo scorso
faceva accorrere famiglie a frotte nelle osterie del Vigentino: La Panerada,
festa della panna, dove il dolce nettare veniva servito nelle tazze di maiolica
e accompagnato dal prelibato Pan de mej dolz, il tipico dolce di farina di
miglio e fior di sambuco.
Da quel giorno San Giorgio venne assunto come
protettore dei lattai che abitavano la zona.
Scorcio di via dei Fontanili e chiesetta della Sacra Famiglia in Morivione (Google Street View) |
Il Mezzo Sovrano e
la Bavaresa
Ancora il proverbiale umorismo milanese si diletta a
prendere in giro i potenti.
L’incarico fu affidato al Cagnola che eresse l’arco
di trionfo provvisorio, ad un solo passaggio, in Porta Riconoscenza, sic., che
prima era Porta Orientale ed oggi Porta Venezia.
L’arco piacque talmente tanto al Viceré ed ai
maggiorenti cittadini che si decise di erigerne una versione definitiva alla
barriera per la strada del Sempione, con l’esorbitante costo, allora, di 4.500.000 lire austriache.
L’idea non dovette piacer molto ai comuni cittadini
ambrosiani che in quattro e quattro otto
coniarono la frase lapidaria: “Quanta spesa per un mezz sovran e una
bavaresa” giocando inevitabilmente con i reconditi significati giacché il Mezzo
Sovrano era una moneta di scarso valore, e la “bavaresa” era una popolare
bevanda a base di latte caldo e cacao.
Eccoci di ritorno
al latte per un altro gradevole ricordo dei tempi che furono,
come dimenticare quei luoghi lindi e profumati che
dal fatto di essere punti di vendita del prezioso alimento presero il nome
loro: le Latterie.
Erano
luoghi di paradisiaca felicità per i bimbi perché vi si potevano trovare le
caramelle più buone, quelle di zucchero, piccole come mentine e di tutti i
colori, quelle gelatine di frutta gommose e zuccherose che ti si attaccavano ai
denti, i cioccolatini, al latte, sa va sans dire, e quando l’inverno era alle
porte ecco la delizia di quei coni friabili che si riempivano di golosa panna
montata impreziosita da sbuffi di cacao.
Le
latterie di Milano erano una delle spine dorsali del commercio alimentare
cittadino ci si andava per comprare il latte fresco di giornata, le uova che
una volta arrivavano dalle cascine del circondario, i biscotti che ancora
profumavano di forno ed i prodotti derivati da latte: burro innanzitutto ma
anche certi formaggi e certi gorgonzola profumati e saporiti come non se ne
trovano più.
La
prima cosa che colpiva in questi luoghi era un candore latteo ed un profumo di
pulizia, un sentore profondo di igiene, forse alimentato anche da quei banconi
lucidi e spesso metallici e da quei contenitori dal coperchio metallico che in
estate proteggevano l’insuperabile leccornia di stagione: il gelato.
Qui
gli alcolici, e quindi i loro consumatori, non avevano cittadinanza, quindi il
pomeriggio era facile imbattersi in famigliole intente a far merenda, a prendere
il fresco seduti a quei quattro tavolini che l’esercente approntava per meglio
accogliere la propria clientela e spesso, all’ora del desinare, dalla piccola
cucina sul retro, giungevano invitanti profumi, perché alcune latterie a
mezzogiorno preparavano qualche piatto caldo e senza pretese per ristorare gli
operai che lavoravano nei dintorni, o
qualche frettoloso impiegato.
Erano piatti semplici della tradizione, gnocchi,
Busecca, risottino, spesso al salto, qualche volta si poteva gustare una sontuosa
Cassoeula e con poca spesa si imbastiva una sicura festa dell’anima.
Chiaro il prodotto principe era il latte fresco, una volta non era
ancora stato inventato quello a lunga conservazione e chissà perché c’erano
molte meno intolleranze al latte di quanto non ci sia dato di percepire
oggigiorno, e le latterie furono presenti a tutte le evoluzioni di packaging
coi quali veniva venduta la nutriente bevanda, dalla bottiglia di vetro col
tappo azzurro fino a quell’inverosimile invenzione che fu il tetrapak, chi non
si ricorda negli anni Sessanta quella stupenda confezione di latte, realizzata a forma di tetraedro
costruito su un triangolo isoscele, a imitazione, non si sa quanto voluta di un
seno, che era scomodissimo da mettere in frigorifero.
Il famigerato contenitore tetrapack, da una pubblicità dell'epoca |
E
ancora in latteria si potevano trovare tutti quei prodotti che miscelati al
latte potevano dar vita alle sontuose e golose colazioni dei bimbi buoni:
cacao, Orzobimbo, Ecco, e, dulcis in fondo Ovomaltina, quella che come diceva
una pubblicità dell’epoca “…dà forza..”, che ebbe una tal diffusione commerciale, ed un tal
gradimento da parte delle mamme, da indurre l’azienda produttrice a crearne una
versione solida il Cioccovo, che era una specie di barretta di cioccolato
ripiena di Ovomaltina talmente compresso da risultare difficoltosissimo da
masticare, in compenso era di una tal straordinaria dolcezza da attirare la
carie e fare la felicità della corporazione dei dentisti.
Oggi
di latterie non ne esistono più , vuoi perché la nascita del latte a lunga
conservazione e la sempre più invasiva
presenza dei supermercati ne hanno depauperato le funzioni, vuoi perché
è scomparsa la generazione dei negozianti di latte, chissa perché ma non ci
ricordiamo un solo lattaio giovane in quei negozi, sul finire degli anni
Settanta si diffuse una breve ed effimera moda del Bar Bianco, dove si
privilegiava la mescita di prodotti derivati dal latte, ma, ovviamente non era
più la stessa cosa.
Come locali
legati alla bianca bevanda citiamo la Centrale del Latte, praticamente lo
spaccio aziendale, luogo di ritrovo di anziani e pochi avventori in Viale
Toscana dove è possibile passare del tempo giocando a biliardo o a bocce al
suono dello zampillo di una timida fontana bianca e blu.
In via
Chiesa Rossa troviamo una Budineria, che come dice il nome è specializzata in
quei particolari dolci, qui è facile assistere a performance di giovani
musicisti in cerca di gloria.
Sempre
lungo le sponde del Naviglio, questa volta il Grande, in via Ascanio Sforza è
ormeggiato il barcone della Cremeria Gelateria Musicale dove in una saletta
separata si suonano madrigali, brani barocchi e rinascimentali.
In via
Eustachi si segnala la gelateria Slurp dove è ancora possibile gustare l’ormai
rarissima cialda Croc fatta a mano.
Non
possiamo poi fare a meno di accennare alla presenza in città di tre negozi
della catena Viel, specializzata in frappè, frullati, gelati e frutta.
Tabella Gelati Motta (Museo delle Glorie) |
Certo, sì, con
il latte si fa anche il gelato e a Milano di gelaterie artigianali ce ne sono
tante, tutte buone, ma noi vogliamo ricordare brevemente solo i gelati
confezionati che potevi trovare nelle nostre beneamate latterie, scusandoci con
qualche lettore se si farà dell’esercizio pubblicitario, del resto inevitabile.
Tabella dei Gelati Alemagna (Museo dell glorie) |
Era consuetudine
pubblicizzare i gelati attraverso cartelli rettangolari in metallo serigrafato
che sintetizzavano la produzione di una singola marca con una piccola
descrizione e il relativo prezzo e che venivano esposti all'esterno dei luoghi
di vendita.
Fra i
marchi più gettonati in città ricordiamo la Toseroni Con il Pepito, oppure il Brr Blobs, Zio Tom, che erano in realtà
due gelati a forma di faccia con il cappello e un farfallino al collo: uno con
la faccia color panna, l'altro con la faccia cioccolato, il Piedone, un gelato
stick a forma di piede, il Mercuri e il Nembo Gel, a forma di faccia che voleva
rappresentare un supereroe con la mascherina.
Anche la Tanara teneva banco con due specialità: il Gran
Kros e il Paciugo, mentre si andò rapidamente conquistando consensi il mitico
Piper Algida, un gelato confezionato in un cilindro di plastica con il
bastoncino, gusto base panna: con spirali marrone (al cioccolato) o bordò
(all'amarena).
Il Mini Ball Eldorado, anni 60 |
Il Razzo era un
curioso gelato alla crema e cioccolato in un cono di plastica bianco con due
alette laterali, della confezione facevano parte anche due elastici che, a
consumazione finita, si agganciavano alle alette e permettevano di scatenare
una battaglia con gli amici, un’idea della Motta.
All’epoca proliferavano tutta una serie di marchi che
oggi sono scomparsi come Besana, Cecchi e Chiavacci (famosa per il Nocchiero
Chiavacci, un granulato con anima di panna e amarena).
Una delle aziende più fantasiose e divertenti era
Eldorado, di cui ricordiamo il Camillino, un biscotto che racchiudeva il
gelato, il Banana, il Granata, inevitabile: a forma di bomba, il Moreno e il
curiosissimo Miniball: confezione di plastica a forma di pallone da calcio che si apriva togliendo uno degli esagoni
del pallone:
E poi: Lemarancio e Fiordifragola, Pinguino, l’Arcobaleno, che
era un curioso ghiacciolo piramidale formato da strati di gusti e colori
diversi, il gelato Puffo, la Coppa del Nonno….
(Estratto da "Milano Storie di vino e di Osterie" edizioni Selecta)
(Estratto da "Milano Storie di vino e di Osterie" edizioni Selecta)