giovedì 21 novembre 2013

Milano da bere: il latte di Roberto Bagnera





Il latte

         Milano aveva una vera e propria venerazione golosa per la panna , tanto da spingere il Foscolo a soprannominarla “Paneropoli” e ad accomunare la gola dei cittadini ambrosiani alle mollezze ed ai vizi degli antichi patrizi romani, additando allo smodato uso di panna una presunta decadenza di usi e costumi cittadini, al di là della feroce satira del Foscolo, del resto veramente poco attendibile come moralizzatore, il latte, per quanto in forma liquida, è il primo e più importante alimento dell’uomo che ne fa conoscenza fin dai primi vagiti, attaccandosi alle poppe della madre e servendosi a sazietà fino all’inevitabile..ruttino.
          Milano, ancora ai primi del Novecento era circondata di cascine con annessa azienda agricola funzionante, quindi l’approvvigionamento di latte non presentava certo problemi, bastava dotarsi di apposito contenitore e recarsi in una di queste cascine, la mattina presto, per acquistare la propria dose quotidiana di latte appena munto, quello vero, che faceva una panna così…
 C’era anche la possibilità di servirsi dai pastori stessi che con le loro bestie frequentavano le periferie, allora prima di andare a scuola o al lavoro, si poteva mungere direttamente la propria porzione di latte di capra o di mucca, quei pastori erano detti bergamini perché spesso dalla città di Bergamo avevano la loro origine, ed ancora oggi esiste una formaggella detta proprio bergamina.
         Ma, si sa, i vecchi sistemi, per quanto assicurino gusti e sapori oggi non più raggiungibili, non erano certo dei più igienici, tantomeno commercialmente convenienti, così si decise di provvedere…

Quel del latt in tetta (Civico Archivio Fotografico)


La Centrale del Latte
Vera istituzione meneghina la Centrale del Latte sorge in viale Toscana fin dalla sua fondazione nell’anno 1927.
La Centrale del Latte di Milano di via Castelbarco (Foto Archivio Granarolo)

Nei tempi precedenti il latte passava direttamente dal produttore al commerciante con tutti i problemi igienici che questo traffico comportava e la nuova istituzione risolse definitivamente il problema perchè già da allora era dotata di un impianto di lavorazione fra i migliori d’Europa.

Nel 1929 fu data in appalto per 20 anni alla “Societa’ Anonima Centrali del Latte, che riuniva latifondisti e grossi allevatori lombardi con l’esclusiva della vendita entro la cinta daziaria.


Scaduto il contratto nel 1950 il Comune tolse quel monopolio per esercitare  in prima persona un’attenta selezione del Prodotto. Nel 1957 accanto al vecchio stabilimento entro’ in funzione il nuovo, disposto su un area di 3 ettari e mezzo  in via Castelbarco.

Morivione ed i lattai

In via dei fontanili sopravvivono i resti di una chiesetta rurale detta Sacra Famiglia in Morivione, attualmente chiusa perché pericolante.
Il Ponzoni, nel suo libro “Chiese di Milano” lo data al 1786 anche se da alcuni documenti risulta essere più antico se fu ampliato nel 1676 (Arch. Curia Arciv.).
       E’ una chiesetta a navata unica, con il tetto sporgente ed una facciata sobria, ha una pregevole pala a bassorilievo che rappresenta la sacra famiglia.
Il nome deriva dal testo di una lapide “Qui Morì Vione”, che in tempi antichi indicava il luogo ove questo personaggio passò a miglior vita, e finì per indicare il circondario stesso.
Vione, chi era costui?
Esistono diverse versioni a tal proposito Forse Vione era un generale Franco che rimase ferito durante i sanguinosi combattimenti contro i longobardi di re Alboino e che giunse stremato durante la ritirata a Milano solo per morire di cancrena sulle rive del Ticinello.
Secondo un’altra tradizione tal Vione Squilletti era un mercenario veneto che alla guida dei suoi sgherri saccheggiava il territorio del milanese finchè non fu sconfitto ed ucciso dalle truppe di Luchino Visconti nella località suddetta.
Terza versione, quella popolare e quindi per noi più accreditata, tramanda che questo Vione fosse un feroce bandito che alla guida di 600 masnadieri avrebbe tentato addirittura di impadronirsi della città, era il 1236 ed il 23 aprile, giorno di San Giorgio,unico punto in cui le tre versioni trovano accordo, ed il brigante trovò la morte in quel borgo racchiuso fra la Vettabbia ed il Ticinello, e qualcuno per rammemorare la sospirata liberazione dalle angherie di quel losco figuro incise la lapide di cui sopra.
Si dice che in quel giorno le campane suonassero a festa e che le donne del borgo offrirono ai soldati che le avevano liberate latte fresco, panna e uova.
          Nacque così una festa che ancora negli anni venti del secolo scorso faceva accorrere famiglie a frotte nelle osterie del Vigentino: La Panerada, festa della panna, dove il dolce nettare veniva servito nelle tazze di maiolica e accompagnato dal prelibato Pan de mej dolz, il tipico dolce di farina di miglio e fior di sambuco.
Da quel giorno San Giorgio venne assunto come protettore dei lattai che abitavano la zona.

 
Scorcio di via dei Fontanili e chiesetta della Sacra Famiglia in Morivione (Google Street View)
Il Mezzo Sovrano e la Bavaresa
Ancora il proverbiale umorismo milanese si diletta a prendere in giro i potenti.
Ci si riferisce al viceré Eugenio di Beauharnais figlio di Giuseppina, sposa di  Napoleone Bonaparte, ed all’arco di trionfo che la municipalità fece erigere per il suo ingresso in città assieme alla moglie: Augusta Amalia, figlia di Massimiliano di Baviera.
L’incarico fu affidato al Cagnola che eresse l’arco di trionfo provvisorio, ad un solo passaggio, in Porta Riconoscenza, sic., che prima era Porta Orientale ed oggi Porta Venezia.
L’arco piacque talmente tanto al Viceré ed ai maggiorenti cittadini che si decise di erigerne una versione definitiva alla barriera per la strada del Sempione, con l’esorbitante costo, allora, di  4.500.000 lire austriache.
L’idea non dovette piacer molto ai comuni cittadini ambrosiani che in quattro e quattro otto  coniarono la frase lapidaria: “Quanta spesa per un mezz sovran e una bavaresa” giocando inevitabilmente con i reconditi significati giacché il Mezzo Sovrano era una moneta di scarso valore, e la “bavaresa” era una popolare bevanda a base di latte caldo e cacao.
           
Latteria superstite, foto ACAdeMI King Atall

 Eccoci di ritorno al latte per un altro gradevole ricordo dei tempi che furono,
come dimenticare quei luoghi lindi e profumati che dal fatto di essere punti di vendita del prezioso alimento presero il nome loro: le Latterie.
        Erano luoghi di paradisiaca felicità per i bimbi perché vi si potevano trovare le caramelle più buone, quelle di zucchero, piccole come mentine e di tutti i colori, quelle gelatine di frutta gommose e zuccherose che ti si attaccavano ai denti, i cioccolatini, al latte, sa va sans dire, e quando l’inverno era alle porte ecco la delizia di quei coni friabili che si riempivano di golosa panna montata impreziosita da sbuffi di cacao.
       Le latterie di Milano erano una delle spine dorsali del commercio alimentare cittadino ci si andava per comprare il latte fresco di giornata, le uova che una volta arrivavano dalle cascine del circondario, i biscotti che ancora profumavano di forno ed i prodotti derivati da latte: burro innanzitutto ma anche certi formaggi e certi gorgonzola profumati e saporiti come non se ne trovano più.
       La prima cosa che colpiva in questi luoghi era un candore latteo ed un profumo di pulizia, un sentore profondo di igiene, forse alimentato anche da quei banconi lucidi e spesso metallici e da quei contenitori dal coperchio metallico che in estate proteggevano l’insuperabile leccornia di stagione: il gelato.
         Qui gli alcolici, e quindi i loro consumatori, non avevano cittadinanza, quindi il pomeriggio era facile imbattersi in famigliole intente a far merenda, a prendere il fresco seduti a quei quattro tavolini che l’esercente approntava per meglio accogliere la propria clientela e spesso, all’ora del desinare, dalla piccola cucina sul retro, giungevano invitanti profumi, perché alcune latterie a mezzogiorno preparavano qualche piatto caldo e senza pretese per ristorare gli operai  che lavoravano nei dintorni, o qualche frettoloso impiegato.
Erano piatti semplici della tradizione, gnocchi, Busecca, risottino, spesso al salto, qualche volta si poteva gustare una sontuosa Cassoeula e con poca spesa si imbastiva una sicura festa dell’anima.
               Chiaro il prodotto principe era il latte fresco, una volta non era ancora stato inventato quello a lunga conservazione e chissà perché c’erano molte meno intolleranze al latte di quanto non ci sia dato di percepire oggigiorno, e le latterie furono presenti a tutte le evoluzioni di packaging coi quali veniva venduta la nutriente bevanda, dalla bottiglia di vetro col tappo azzurro fino a quell’inverosimile invenzione che fu il tetrapak, chi non si ricorda negli anni Sessanta quella stupenda confezione di latte, realizzata a forma di tetraedro costruito su un triangolo isoscele, a imitazione, non si sa quanto voluta di un seno, che era scomodissimo da mettere in frigorifero. 

Il famigerato contenitore tetrapack, da una pubblicità dell'epoca

       E ancora in latteria si potevano trovare tutti quei prodotti che miscelati al latte potevano dar vita alle sontuose e golose colazioni dei bimbi buoni: cacao, Orzobimbo, Ecco, e, dulcis in fondo Ovomaltina, quella che come diceva una pubblicità dell’epoca “…dà forza..”, che ebbe una tal diffusione commerciale, ed un tal gradimento da parte delle mamme, da indurre l’azienda produttrice a crearne una versione solida il Cioccovo, che era una specie di barretta di cioccolato ripiena di Ovomaltina talmente compresso da risultare difficoltosissimo da masticare, in compenso era di una tal straordinaria dolcezza da attirare la carie e fare la felicità della corporazione dei dentisti.
       Oggi di latterie non ne esistono più , vuoi perché la nascita del latte a lunga conservazione e la sempre più invasiva  presenza dei supermercati ne hanno depauperato le funzioni, vuoi perché è scomparsa la generazione dei negozianti di latte, chissa perché ma non ci ricordiamo un solo lattaio giovane in quei negozi, sul finire degli anni Settanta si diffuse una breve ed effimera moda del Bar Bianco, dove si privilegiava la mescita di prodotti derivati dal latte, ma, ovviamente non era più la stessa cosa.
 Come locali legati alla bianca bevanda citiamo la Centrale del Latte, praticamente lo spaccio aziendale, luogo di ritrovo di anziani e pochi avventori in Viale Toscana dove è possibile passare del tempo giocando a biliardo o a bocce al suono dello zampillo di una timida fontana bianca e blu.
     In via Chiesa Rossa troviamo una Budineria, che come dice il nome è specializzata in quei particolari dolci, qui è facile assistere a performance di giovani musicisti in cerca di gloria.
            Sempre lungo le sponde del Naviglio, questa volta il Grande, in via Ascanio Sforza è ormeggiato il barcone della Cremeria Gelateria Musicale dove in una saletta separata si suonano madrigali, brani barocchi e rinascimentali.
         In via Eustachi si segnala la gelateria Slurp dove è ancora possibile gustare l’ormai rarissima cialda Croc fatta a mano.
        Non possiamo poi fare a meno di accennare alla presenza in città di tre negozi della catena Viel, specializzata in frappè, frullati, gelati e frutta.

Tabella Gelati Motta (Museo delle Glorie)
        
    Certo, sì, con il latte si fa anche il gelato e a Milano di gelaterie artigianali ce ne sono tante, tutte buone, ma noi vogliamo ricordare brevemente solo i gelati confezionati che potevi trovare nelle nostre beneamate latterie, scusandoci con qualche lettore se si farà dell’esercizio pubblicitario, del resto inevitabile.

Tabella dei Gelati Alemagna (Museo dell glorie)

 Era consuetudine pubblicizzare i gelati attraverso cartelli rettangolari in metallo serigrafato che sintetizzavano la produzione di una singola marca con una piccola descrizione e il relativo prezzo e che venivano esposti all'esterno dei luoghi di vendita.
       Fra i marchi più gettonati in città ricordiamo la Toseroni  Con il Pepito, oppure il Brr Blobs, Zio Tom, che erano in realtà due gelati a forma di faccia con il cappello e un farfallino al collo: uno con la faccia color panna, l'altro con la faccia cioccolato, il Piedone, un gelato stick a forma di piede, il Mercuri e il Nembo Gel, a forma di faccia che voleva rappresentare un supereroe con la mascherina.
Anche la Tanara teneva banco con due specialità: il Gran Kros e il Paciugo, mentre si andò rapidamente conquistando consensi il mitico Piper Algida, un gelato confezionato in un cilindro di plastica con il bastoncino, gusto base panna: con spirali marrone (al cioccolato) o bordò (all'amarena).

 
Il Mini Ball Eldorado, anni 60
  Il Razzo era un curioso gelato alla crema e cioccolato in un cono di plastica bianco con due alette laterali, della confezione facevano parte anche due elastici che, a consumazione finita, si agganciavano alle alette e permettevano di scatenare una battaglia con gli amici, un’idea della Motta.
All’epoca proliferavano tutta una serie di marchi che oggi sono scomparsi come Besana, Cecchi e Chiavacci (famosa per il Nocchiero Chiavacci, un granulato con anima di panna e amarena).
Una delle aziende più fantasiose e divertenti era Eldorado, di cui ricordiamo il Camillino, un biscotto che racchiudeva il gelato, il Banana, il Granata, inevitabile: a forma di bomba, il Moreno e il curiosissimo Miniball: confezione di plastica a forma di pallone da calcio  che si apriva togliendo uno degli esagoni del pallone:



           E poi: Lemarancio e Fiordifragola, Pinguino, l’Arcobaleno, che era un curioso ghiacciolo piramidale formato da strati di gusti e colori diversi, il gelato Puffo, la Coppa del Nonno….


(Estratto da "Milano Storie di vino e di Osterie" edizioni Selecta)



domenica 10 novembre 2013

Moto Cross al Monte Stella di erreemme72

Riproduciamo un articolo uscito sul numero 5 del 1969 della rivista "Motociclismo" che racconta di quando la montagnetta di San Siro era utilizzata come palestra da motociclisti e ciclisti con un bel corredo di fotografie.

Come al solito cliccando sulle immagini col tasto destro del mouse e selezionando "apri in una nuova scheda" avrete una maggiore leggibilità delle foto.















domenica 3 novembre 2013

Elementi Liberty nelle sepolture del Monumentale di Roberto Bagnera

        Milano, 2 Novembre 1866: alla presenza delle autorità governative e municipali, previa benedizione religiosa di Monsignor Giuseppe Calvi, si inaugura ufficialmente il nuovo cimitero di Porta Garibaldi.
       Una lunga storia di giochi politici e progetti rifiutati stava già alle spalle di questo servizio pubblico che, nel volgere di breve tempo, avrebbe visto mutarsi la sua primitiva funzione in qualcosa di diverso e più inatteso significato.

 
Piazzale del Cimitero Monumentale in una foto risalente al 1890 di Brogi, archivio Alinari


        Considerati insufficienti alle esigenze della crescita vertiginosa che la città stava vivendo i cimiteri del Gentilino (P.ta Ticinese), di San Gregorio (P.ta Venezia), di San Giovanni alla Paglia (P.ta Vercellina), di San Rocco (P:ta Romana), della Molazza (P:ta Garibaldi), dei Tre Ronchetti, della Barona, di Calvairate, Monluè e Gratosoglio, il Comune di Milano decide di bandire un concorso per un cimitero “… degno del lustro della città, dove riunirvi lapidi e monumenti per distinti cittadini e sepolcri di famiglia, e vasto a raccogliere tutte le spoglie dei trapassati”; si destina all’opera la somma di L. 1.300.000.
         Nel giugno 1839, su venticinque progetti, vengono dichiarati lodevoli quelli dell’ architetto Alessandro Sidoli e dell’architetto  Giulio Aluisetti; l’Accademia delle Belle Arti preferì quello del Sidoli, ma il Consiglio Comunale dichiarò decaduto il concorso e anzi, nel 1844, affidò all’ Aluisetti l’incarico di presentare un nuovo progetto.
         Abbandonato, o meglioaccantonato il problema, a causa degli avvenimenti politici del 1848, fino alla definitiva liberazione di Milano del 1859, il nuovo clima politico spingeva a rivedere le decisioni prese sotto un governo straniero e il 17 novembre 1861 fu pubblicato il bando di un nuovo concorso.    
          Finalmente il 22 dicembre 1863, il Consiglio approvò definitivamente il progetto dell’Architetto Carlo Maciacchini, in seguito anche incaricato di dirigere i lavori.



Viale principale del Monumentale (Cartolina dalla collezione di Bruno Abagallo)


         Ancora erano in corso i lavori per la recinzione dell’area e lo spianamento del terreno e la costruzione degli edifici frontali, che si palesava subito la insufficienza del Monumentale per il seppellimento di tutti i morti di Milano. La città andava prendendo un vertiginoso sviluppo e vedeva accrescersi rapidamente la sua popolazione.
           Furono riaperti nel 1875 i vecchi cimiteri e venne costruito ed aperto nel 1895 il nuovo grande cimitero a Musocco.
           Il Monumentale fu riservato allora per le sepolture a perpetuità; da tale norma limitativa derivò anche, gradualmente, un maggiore impegno artistico nei monumenti funebri.
            Scultori come Vincenzo Vela, Giuseppe Grandi, Medardo Rosso, Adolfo Wildt, Arrigo Minerbi, Giacomo Manzù, per non citarne che alcuni, vi lasciarono importanti testimonianze della loro arte, tanto da poter definire il cimitero oltre che il più grande, il più completo museo della scultura lombarda degli ultimi cento anni, mentre le mille e più edicole o cappelle di famiglia ci danno un interessante materiale per la storia dell’architettura di un intero secolo.

 
Scorcio con gruppo di sepolture (Cartolina dalla collezione di Bruno Abagallo)

            Carlo Maciacchini, nato a Induno nel 1818, progettò e costruì il suo cimitero in uno stile eclettico-bizantineggiante che fu elogiato dai suoi contemporanei per l’originalità e l’eleganza della concezione, ma fu assai spesso criticato per la mancanza di stile.
             Il Monumentale, accogliendo solo sepolture a perpetuità, comprende anche una sezione, il Famedio, edificio centrale, atta a ricordare i cittadini più illustri e meritevoli della storia e cultura milanese, primo fra tutti il grande scrittore Alessandro Manzoni.

Tomba di Alessandro Manzoni nel Famedio, foto di Marco Restano

              Questa sorta di Pantheon Meneghino accoglie altresì le spoglie mortali di Carlo Cattaneo, Carlo Forlanini, Achille Mauri, Cesare Correnti, Amilcare Ponghielli, Tommaso Grossi, Giuseppe Rovani, Girolamo Induco, Delio Tessa e un altro sparuto manipolo di grandi personaggi.
              Un museo all’aperto abbiamo detto, della scultura lombarda dei tempi a noi più vicini, ma anche, e duole dirlo, dei più ignorati e misconosciuti dell’intera città, tant’è che il Monumentale è più noto ed apprezzato dai turisti stranieri che non dai Milanesi.
               Noi perciò abbiamo deciso di dedicargli un capitolo della nostra dissertazione, in quanto il Monumentale costituisce un momento fondamentale per la comprensione dello spirito Art Nouveau che infonde tutta Milano della sua attuazione sostanziale. L’esposizione iconografica dell’architettura e la spicciola indagine nel campo delle arti applicate, che abbiamo fin qui svolto, rimarrebbe come un semplice fatto estetico se non cercassimo adesso di inquadrare il momento Liberty nel suo logico ambito storico ambientale.
             E’ proprio attraverso l’esame attento  delle sculture celebrative del Monumentale, avendo esse meno legami che non l’architettura con le esigenze del vivere quotidiano, che noi possiamo cogliere tutti gli indizi e i germi che ci portano alle radici di quello che fu espressione di un gusto piuttosto che una moda o una scuola precostituita.


Vista di scorcio delle sepolture del Monumentale (Cartolina dalla collezione di Siro Battisti)
              Ciò che nessuno ha ancora sufficientemente evidenziato è il legame esistente tra il Liberty, la cui stagione canonica deve essere circoscritta fra il 1885 e il 1906, e quel ben più vasto movimento che si volle definire Decadentismo.
               Esempi come quelli di Palazzo Bagatti Valsecchi o il Vittoriale di D’Annunzio ci introducono nel clima giusto più di quanto non ci sia dato di credere.
               Il Liberty fu il frutto contemporaneo di tante ribellioni alle costrizioni, prive di fantasia, del positivismo imperante di fine Ottocento, così come avvenne per il Romanticismo nei confronti del Classicismo, un voler affermare la propria identità creatrice nella ricerca di nuove formule, nuove concezioni estetiche e soprattutto nuove tecniche e nuovi materiali.
               Il Simbolismo in letterature e l’Impressionismo in pittura sono i diretti progenitori del Liberty che prese dal primo il gusto della sinsestesia per tradurla in un compenetrarsi di categorie estetiche organiche con la più concreta durezza della praticità e della comodità del vivere, dando vita ad un linguaggio abitativo plastico e dinamico al tempo stesso; mutuando poi dall’Impressionismo le luci i colori ed il senso di contemporaneità e storicità da esso espressi.
               Il Cubismo , analitico o sintetico, il Divisionismo, la Pittura Metafisica, il Déco, il Bauhaus e non ultima la cultura dell’oggetto e del design vi sono intrecciate in modo spesso inscindibile e traggono dall’assunzione o dal rifiuto degli stilemi Art Nouveau la loro stessa ragione di vita.
              Il Liberty imprime una svolta di gusto alla statuaria del Monumentale,si denota come l’espressione artistica più idonea all’affermazione di quei valori, derivati dalla ricerca del trionfalismo borghese di lasciare imperitura memoria di sé, di cui le tombe intendono dare testimonianza. Fino a quel momento la preparazione veristica degli scultori li induceva a rappresentare personaggi in atteggiamenti e costumi realistici. La figura più ricorrente in queste rappresentazioni è la donna o la fanciulletta che giunge a spargere fiori sulla tomba: ma non la figura angelica che il Simbolismo spirituale e cattolico adotterà come emblema di vita ultraterrena o di sopravvivenza dell’anima, o di persistenza dei valori ideali oltre il disfacimento dei corpi.
              La grande statua giacente, che nel 1891 Enrico Butti prepara per la tomba Casati-Brioschi, costituisce una prima modifica dell’iconografia funeraria.

 
La sepoltura Casati Brioschi, foto dal sito www.anima-morte-eternità.com

              La rappresentazione è ancora legata ai canoni della verosimiglianza traducendo nel bronzo l’immagine di una giovane donna sul letto di morte; ma vengono declinate insieme le convenzioni del ritratto e quelle dell’immediatezza illusionistica: intorno al capo della giovinetta appena spirata un rilievo aureolato ci introduce nel regno della simbologia ultraterrena. Anche lo stile del monumento ha una leggerezza che lascia presagire le prossime profonde trasformazioni del gusto.
               La formula più diffusa nella scultura simbolistica cimiteriale è quella volta alla rappresentazione del distacco dell’anima dalle spoglie mortali, del trasfigurarsi della persona nel momento del trapasso.
                In questa direzione il raggiungimento di più inquietante spiritualismo è quello ottenuto da Leonardo Bistolfi nella statua intitolata “Il Sogno” per la tomba Cairati-Vogt: la figura femminile colta in uno stato di semincoscienza estatica, con gli occhi appena socchiusi, levitante in un turbine di veli dentro i quali si raccoglie come in una conchiglia, sembra sottolineare l’ambigua soglia che divide realtà e parvenza..


 
Tomba Erminia Cairati Vogt, foto di Erminio Bottura


               In armonia con questa concezione, alla quale è estraneo ogni riferimento veristico, Bistolfi elimina l’uso della rappresentazione dell’abbigliamento alla moda e adotta per “Il Sogno” una tipologia già diffusa da noi nella pittura di Segantini e Previati: quella delle figure femminili ricoperte da ampie e fluttuanti tuniche, sotto le quali i corpi perdono consistenza materiale. Questa tipologia trova veicolo stilistico appropriato nel gusto floreale-Liberty, che sottolinea gli andamenti ritmici delle figure, annodandoli in sequenze continue, imprime loro la levitàdi esseri incorporei e consente di spezzare qualsiasi rapporto residuo col verismo.
               E’ ben vero tuttavia che la sensibilità Liberty, con il suo formalismo edonistico, recupera carnali voluttà attraverso il compiacimento sensuale dele membra emergenti dai veli: se il sogno di Bistolfi trasfigura al massimo gli aspetti materiali delle immagini, nella norma delle rappresentazioni d’impronta Liberty giocano sull’ambiguo fascino di personaggi femminili dalla struttura sinuosa, dove il vitalismo modernista si incontra e mescola con le tematiche della morte.
                Si veda l’uso che di questo repertorio iconografico e stilistico fa Michele Vedani, il cui capolavoro è proprio il gruppo scultoreo “Ultimo Bacio” della tomba Riboni-Bonelli: impostato sulla vibrante tensione delle ali angeliche che chiudono le figure in un disegno morbido e sfocato.

 
Edicola Riboni-Bonelli, il gruppo scultoreo "Ultimo Bacio" di Michele Vedani, foto ACAdeMI Abramson

                In realtà lo stile Liberty contribuisce a togliere al tema del distacco l’acerbità dello strazio e all’immagine del dolore lacerante sostituisce di norma quella di una soffusa malinconia, che sfuma in qualche caso nel respiro della speranza. E tuttavia, proprio per essere stato largamente impiegato nella statuaria cimiteriale in un momento in cui essa, come si è detto, conosceva un enorme sviluppo, il Liberty ha finito con l’essere identificato come lo stile adatto a rappresentare i concetti della morte e del pianto. A ben vedere non soltanto il Liberty come tal, ma il simbolismo in senso lato, dentro il quale il Liberty si pone come momento di maggiore caratterizzazione stilistica, danno interpretazioni del rapporto morte-vita spesso edificanti e consolatrici.
                Monumenti appartenenti all’assunto Art Nouveau del nostro discorrere sono parecchi negli spazi del cimitero, con una certa concentrazione numerica nei campi a ridosso dell’ingresso, come logica vuole i primi a essere utilizzati per le sepolture, che accolgono le tombe realizzate negli anni di massima espansione del Liberty, lo stile viene coniugato nei più disparati modi e concetti del gusto imperante e nell’abilità trasfiguratrice degli artisti coinvolti nei vari progetti tanto che riesce difficile evidenziare dei soggetti che abbiano maggiore dignità rappresentativa rispetto ad altri, ciononostante ne forniamo un succinto elenco in modo da invogliare una visita consapevole.



Riparto I
Monumento Bocconi n° 173 Architettura realizzata da Giuseppe Boni con sculture di Orazio Grassoni nel 1913 , una realizzazione grandiosa che non ha specifici caratteristiche del Liberty ma testimonia l’attitudine di molti architetti del periodo al recupero del linguaggio classico. 
 
Monumento Bocconi, foto dal sito Lombardia Beni Culturali

Sopra una base quadrata di 7 metri di lato 4 colonne si elevano fino ad un’altezza di 20 metri e reggono un quadrilatero che reca scolpite le allegorie  della speranza, del dolore, della maternità, della rassegnazione e della religione.

Riparto II
Tomba Mayer n° 155 del 1910 di Giannino Castiglioni.
Edicola Tavella n° 176 sculture di Enrico Cassi.
Edicola Reyna  n° 190 Ideata dallo scultore Roberto Greter e realizzata tra il 1907 e il 1909 con sculture in bronzo che ricalcano la linea del Bistolfi:Intrecci di fiori e spine incorniciano una fanciulla portata in cielo da un angelo e una donna dolente, figure dal forte simbolismo, pregevole poi il design stilizzato del cancello in ferro battuto. La parte architettonica si caratterizza con una forma tronco piramidale che si ripete spesso in altre tombe coeve.
Edicola Rejna, la composizione detta "Vangelo della Morte" di Roberto Greter, foto di Frank Derville
Edicola Baj  n° 192 realizzata tra il 1905 e il 1909 dall’ingegner Cesare Nava e dallo scultore Antonio Carminati. La grande arca, memore di storici accenti monumentali , reca sculture dalla forte plasticità che infondono vigoria all’insieme architettonico. Si noti come i diversi materiali utilizzati quasi concorrano a formare un campionario di pietre: il granito utilizzato nello zoccolo, la pietra simona nel basamento, i marmi multicolori delle colonnette ed il sarcofago in marmo bianco di Carrara.

Edicola Baj, foto di Erminio Bottura

Edicola Passoni n° 203 realizzata dagli architetti Francesco Carminati ed Enrico Guassalli nel 1907
Edicola Verga n° 204 sempre del 1907, architetto Guido Pirovano che presenta sculture di Emilio Busetti e e ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli.


Reparto IV (è il campo che contiene in percentuale il maggior numero di monumenti in stile)
Tomba Baj-Macario n° 78/79 e Tomba Giuseppina Macario n° 80 di Eugenio Pellini, 1893, nella prima sepoltura un angelo dolente dispiega a corna le sue ali fra una cascata di fiori realizzati in bronzo, il gesso di quest’opera fu poi presentato dal Pellini stesso alla seconda biennale di Brera, nella tomba  della giovane donna ritroviamo il tema dei fiori, questa volta in marmo di Carrara.

 
Tomba Baj Macario, foto di Frank Derville

Tomba Riboni n° 82 di Michele Vedani ,L’ultimo bacio, del 1907.
Edicola Dell’Ovo n°83 arc. Francesco Secchi e sculture di Luigi Secchi, 1912. Tre statue che raffigurano la Meditazione sul mistero della Morte, quella posta al centro, a sinistra il dolore muto, a destra il pianto.

 
Edicola Dall'Ovo, foto dal sito Lombardia Beni Culturali

Tomba Crespi n° 84 di Ernesto Bazzaro il cui gruppo scultoreo si intitola Eredità d’affetti e rappresenta in chiara chiave simbolista il ciclo emozionale della natura umana.

 
Tomba Crepi, foto di Frank Derville

Monumento Izar n° 86 realizzato da Felice Bialetti nel 1904 , la composizione in bronzo inititolata Fede è sospesa tra il realismo della figura femminile e la drammaticità dei corpi racchiusi nel sudario.

 
Monumento Izar (Cartolina dalla collezione di Roberto Bagnera)

Edicola Beaux n° 89 del 1901 di Ulisse Stacchini con decorazioni in ferro battuto di Alessandro Mazzucotelli. Interessanti motivi di finestre a bifora in forma di croce e la decorazione in bronzo raffigurante serti d’alloro che nascono dalla pietra e si rinserrano poi negli incavi del portale.
Edicola Carcano n° 92
Tomba Castiglioni n° 142 di Ernesto Bazzaro che con inventiva ed originalità dispiega i consueti temi del suo aggraziato verismo.

Tomba Castiglioni (Cartolina dalla collezione di Roberto Bagnera)

Reparto V

Edicola Branca n° 82 del 1900 dell’architetto Giuseppe Boni, il gruppo scultoreo La Pietà di Michele Vedani, fu posto nel 1912 in sostituzione di una precedente scultura di Ernesto Bazzaro con figura femminile, rimossa perchè giudicata sconveniente.


Edicola Branca, foto dal sito Lombardia Beni Culturali
Monumento Squadrelli n° 84  realizzato nel 1911 da Ernesto Bazzaro, il complesso scultoreo dal titolo “La resurrezione di Lazzaro”  rivela un titanismo post Scapigliatura che traduce  l’ansia di far grande del tardo Liberty.

 
Monumento Squadrelli, foto dal sito Lombardia Beni culturali

Tomba Casati-Brioschi n° 86 di Enrico Butti, 1890, che ben esemplifica il passaggio dal Verismo al Simbolismo del Floreale.

La tomba Casati Brioschi in una cartolina dalla collezione di siro Battisti


Reparto VI
Monumento Besenzanica n° 127 detto “Allegoria del Lavoro” realizzato nel 1912 da Enrico Butti, che coniuga le spinte del Verismo , rappresentate dalla scelta sociale della rappresentazione del lavoro con gli assunti del verbo simbolista attraverso il contatto degli aratori con la natura, rappresentando così il concetto che dalla morte si può rigenerare la vita.

 
Particolare della sepoltura Besenzanica, foto di Frank Derville

Edicola Pierd’Houy n° 128, realizzata tra il 1900 e il 1901, opera dello scultore Primo Giudici che recupera anche parte di una precedente sepoltura di famiglia, inglobandola in una struttura stilisticamente non connotabile ma sicuramente eclettica come altri esempi coevi e di sicuro impatto per il senso di forte misticismo del disegno generale.

Edicola Pierre d'Houy, foto dal sito Lombardia Beni culturali

Riparto VII
Edicola Viganò n° 169 Di Carminati e Gussalli, 1905, con bronzi di Cesare Ravasco. La  tipica struttura tronco piramidale che più volte si ripete nelle sepolture del Monumentale
Edicola Toscanini n° 184 realizzata nel 1911 da Leonardo Bistolfi si ispira ad una chiara matrice di area tedesca, Klimt e Gysis fra gli altri, ed incastona in una forma solenne e monumentale,  con un andamento a nastro continuo, tipico degli stilemi Liberty, delle sculture incise su temi allegorici relativi alla vita di Giorgio, morto all’età di 4 anni, figlio del grande maestro Arturo.



Particolare dell'Edicola Toscanini, foto di Raymond DeJong

Edicola Giudici n° 190 del 1906 di Paolo Mezzanotte. La scelta degli impianti stilistici del Liberty floreale è rigorosa,notevole la lunetta in mosaico a fondo dorato, opera della ditta Salviati di Venezia.

 
Edicola Giudici, foto di Erminio Bottura


L’intreccio di rose in fiore e di rami appassiti vuole alludere al vincolo che unisce spiritualmente i memori ed i defunti.

Riparto IX
Edicola Croci n° 545  realizzata negli anni 1913-1915 dall’ingegner Attilio Volpi, noto per essere detentore di un brevetto per l’applicazione del cemento armato,con sculture in bronzo di Alfonso Mazzucchelli.: la figura femminile che si abbandona esanime fra le braccia di una donna soccorritrice rappresenta la moglie del Croci, avvelenata da un pazzo, raffigurato  in ginocchio a simboleggiare il genio del male. Sul portale un gruppo di soldati in un bosco di rovi che simboleggia i dolori e le tragedie del vivere.

Edicola Croci, foto ACAdeMI Abramson

Riparto XI
Edicola Origgi n° 227 di Giuseppe Boni del 1905, è l’edificio che dal punto di vista architettonico meglio rappresenta lo stile modernista, gli archi interrotti da linee parallele, la semicupola tagliata a chiglia, i fiori collocati a far parte integrante della struttura, sono tutti elementi secessionisti-Liberty
tipici e riconoscibili.

Edicola Origgi, Foto Edizioni Brogi

Reparto XIV
Tomba Casalbore n° 390 del 1912

Cinerario di Levante
Monumento Cairati-Vogt n° 176  “Il Sogno” del 1900 del maestro casalese Leonardo Bistolfi.

Rialzato B di Levante
Tomba Suffert n° 33-34 del 1910 di Alfredo Sassi, esempio coerente ed elegante caratteristico di un Liberty in accezione floreale milanese di cui il Sassi, unitamente al Boninsegna è l’esponente più indicativo. La struttura in granito di Biella è dominata dal coro di angeli musicanti , in bronzo, che volteggiano su un tappeto di lussureggianti ireos.


Particolare della tomba Suffert, foto di Raymond DeJong

Sicuramente questo nostro percorso non ha voluto, e potuto, essere esaustivo, tali e tante sono le tracce dello stile Liberty nelle sepolture del Monumentale, ma se solo ha incuriosito e spinto anche solo uno di voi lettori ad una visita di questo insostituibile museo a cielo aperto, il nostro obiettivo può dirsi a buona ragione raggiunto.
  
(Estratto da "Milano Liberty" ed. Selecta)