Il padiglione Trento ricostruito nel 1946, Venne intitolato ad Angelo Rizzoli grazie al contributo offerto |
Storia di un bombardamento su Milano vissuto e raccontato da Sergio Gobbi un Martinin classe 1931.
Sergio Gobbi ha scritto una sua memoria intitolata "8 anni da Martinin 1940-1948". Avrebbe voluto pubblicarla, ma non aveva i mezzi per farlo. Qualche anno fa Sergio ci ha lasciati. Rimangono comunque di lui queste testimonianze preziose non solo per noi, ma anche per la storia di quel periodo.
Le foto che corredano questo scritto sono riferite però all'anno 1943 e ci vengono concesse dall'Archivio del Museo Martinitt e Stelline nella persona di Renato Marelli
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08 DICEMBRE. L’IMMACOLATA DEL 42’
Con l’autunno qua a Milano è arrivato in Istituto, reduce da Barlassina, anche mio fratello Carluccio, è il più piccolo del collegio e perciò lo chiamano Zemirio. Lui fa la prima elementare e io la prima media, Scuola del libro in Umanitaria.
Una scuola che a noi Martinitt piace molto, si studia più o meno come nelle altre scuole, però ogni settimana si cambia mestiere: composizione, impressione piana, litografia e legatoria.
Non salto un’ora di laboratorio, in compenso ne perdo qualcuna in altre materie, appena ho l’occasione di bigiare la lezione, scappo a casa dalla mamma, oppure nella fabbrica dove lei lavora. Infatti morto il papà si è vista costretta a mettere i quattro figli in collegio (oltre a noi due nei Martinitt, Guido è a Pietra Ligure e Pippo a Barlassina) e impiegarsi alla Lesa, fabbrica di materiale bellico. Dirimpetto ai laboratori è allestita una scuola di aviazione, nella quale volonterosi giovanotti imparano in tempo accelerato quel che è un aeroplano, poi partono immediatamente per il fronte. Sul loro campo di esercitazione qualcuno ha trovato la strada per evadere dall’Umanitaria e la voce si sparge subito. Segui il percorso di guerra, sbuchi in via Pace. e sei libero!”
Questa scoperta è una pacchia, coniugando pace e guerra abbiamo trovato la libertà. Però ne approfittiamo a turno, non possiamo certo essere ammalati tutti lo stesso giorno.
E’ un fatto che la guerra, con i suoi continui contrattempi e gli allarmi aerei, ci dà una bella mano a sfuggire alla sorveglianza dei nostri sorveglianti. A volte però gli aerei nemici esagerano.
Il mese scorso a Bergamo, è morta la mia nonna paterna Elvira e la mamma ha ottenuto il permesso di portarmi con sé al funerale. Partiamo alle venti dalla stazione Centrale su un treno che va, dice lui, a Bergamo. In realtà verso la mezzanotte arriva a Lecco, dopo oltre un’ora di attesa torna indietro e, non so per quale strada giunge a Bergamo a notte inoltrata. C’è il coprifuoco, ma per fortuna un ufficiale delle Milizia Ferroviaria, impietositosi e pratico della città, ci accompagna lui stesso all’indirizzo di mia zia. Il funerale si era già celebrato, il giorno prima, perciò dopo qualche ora di riposo, al mattino ci rechiamo svelti al cimitero, in modo di poter ripartire subito per Milano. Questa volta servendoci della tramvia Bergamo-Monza, in partenza a mezzogiorno.
Dopo un’ora di corsa (si fa per dire) il tram si arresta in aperta campagna e i viaggiatori sono invitati a scendere per disperdersi nei campi.
Panoramica dall'alto dell'Istituto di via Pitteri con evidenziato il Padiglione Trento |
Saggio suggerimento, poiché all’improvviso sbucano dalle nuvole due aerei nemici, che si gettano in picchiata sulle vetture, fortunatamente vuote, mitragliandole, ripetutamente. Dieci minuti di panico, quindi gli assalitori esaurite le munizioni, si allontanano e, scampato il pericolo, i passeggeri, ancora spaventatissimi, risalgono in carrozza.
Altra fermata fuori programma al ponte di Trezzo d’Adda, tutti di nuovo giù a piedi per scavalcare il viadotto, il tram completamente vuoto, lo transita per ultimo. Nel tardo pomeriggio, dopo un altro allarme, siamo a Monza. Ancora una buona ora di attesa davanti alla stazione a aspettare una scalcinata corriera e, finalmente col buio della notte, rientro a Milano.
Così, allarme dopo allarme, l’autunno se ne va! Il freddo dell’inverno quest’anno sembra arrivare in anticipo e ci fa parecchio soffrire. Ma oggi, malgrado il lunedì è festa, è il giorno dell’Immacolata e si va in libera uscita, poi in un attimo è sera e bisogna ritornare in collegio!
Con la mamma e il Carluccio prendiamo il 23 in via Lamarmora, saranno appena le sette, ma i tram sono scarsi e bisogna affrettarsi a scanso di contrattempi sempre in agguato. Sul tram vi è già un Martinitt con la madre e altri due vi salgono lungo il percorso, si spera non vi siano allarmi. Invece l’allarme suona allorquando il 23 sta girando intorno alle aiuole di piazzale Susa. Come da ordini prestabiliti la tranviera arresta la vettura, poi a richiesta dei pochi passeggeri, sempre come da ordini prestabiliti, acconsente a raggiungere il vicino capolinea all’Ortica. Il cielo è sereno senza nebbia e la temperatura è rigida, il buio avvolge la zona, malgrado le lunghe file di lampioni allineati su viale Argonne, ritti come lugubri fantasmi e per via dell’oscuramento, rigorosamente spenti.
Quattro fermate al capolinea, inizia il fuoco della contraerea e il deserto si illumina, dietro la Chiesa Rossa e sopra i tetti di via Illirico, grandi fasci di luce si incrociano nelle tenebre come lame splendenti, talora inquadrando, simili a corvacci neri, le sagome dei Bristol Blenheimen, i bombardieri inglesi. Bianche nuvolette indicano gli scoppi dei proiettili antiaerei, a tentoni in cerca di bersaglio.
Ed ecco il rondò, un prato addossato alla ferrovia, attorno a cui il tram gira verso la città. Tutti scendono infreddoliti, occhi al cielo, indecisi sul da farsi, madri in preghiera, bambini in gioiosa contemplazione dello spettacolo pirotecnico. Sferragliando, da Giambellino arriva un 28, sul prato adesso ci stanno, assordati dagli spari, una ventina fra grandi e piccini.
Per l’Istituto, via Pitteri, c’era una volta l’autobus M, ora non c’è più, soppresso per penuria di carburante. Dunque mezz’ora a piedi! Per intanto su consiglio delle due manovratrici e delle due bigliettaie, rimaniamo al riparo sul tram, luoghi abbastanza sicuri salvo la malaugurata ipotesi di una bomba sganciata proprio su di essi. In una pausa, tra gli scoppi, una presente propone: “Io sono la più giovane di voi tutte, quindi mi offro di accompagnare io da sola i ragazzi in Istituto. E’ perfettamente inutile che ognuna si sobbarchi due volte mezz’ora di strada, a quel che pare gli apparecchi inglesi non riescono a superare lo sbarramento antiaereo, dunque pericoli immediati non ce ne sono. Salutate qui i vostri figlioli e affidateli a me, sarò per loro una buona guida”. Nel tragico frangente sembra la soluzione migliore e tra abbracci, raccomandazioni e lacrime il capannello di madri e figli si scioglie. All’avviarsi della minuscola comitiva, la nuova mammina in mezzo, una decina di Martinitt ai lati, la tregua di relativa calma finisce. Le batterie contraeree riprendono a sparare con furia ancora maggiore, certo è in arrivo una seconda ondata di incursori.
Appena al di là del ponte di via Amadeo la strada a mò di scorciatoia, prima di inoltrarsi nei campi sottopassa un fascio di binari sui quali il treno armato spara all’impazzata, il cielo è solcato dai razzi illuminanti e dalle traccianti delle mitragliere, in più è rischiarato dai bengala sganciati dagli aerei. E in quella fantasmagoria di colori si vedono sfrecciare gli apparecchi nemici. A questo punto l’ordine nel drappello in marcia va a farsi benedire, per noi bambini la baraonda di spari e di luci è eccitante, chi corre avanti, chi resta indietro e sparisce nel buio. La fila si spezza e nel caos totale la frastornata guida non riesce più a ricostruirla. Nessuno ha paura e ognuno si diverte senza badare ai disperati richiami della povera accompagnatrice poi, come Dio vuole, la pirotecnica traversata si conclude nella portineria dell’Istituto, dove la sbandata compagnia giunge, in ritardo ma giustificata, dopo le otto e mezza, termine improrogabile della libera uscita. Per i dieci piccoli Martinitt è la fine di una festa e per l’improvvisata mammina la fine di un incubo. Ma non di un Calvario!
Le tragiche conseguenze del bombardamento |
Non potevo certo allora conoscere il dramma della nostra temporanea mammina.
Sposa da pochi anni, senza notizie del marito soldato in Grecia e purtroppo ferito a una gamba, la figlioletta di un anno affidata alla nonna, il bagliore degli incendi laggiù dalle parti della Bovisa, di Campo dei Fiori e Quarto Oggiaro, ossia verso casa sua, il fratellino da ricondurre in collegio. In più una decina di scalmanati che le sfuggivano di mano, di tutto divertiti e del tutto ignari di cosa fosse la paura. E infine la prospettiva del ritorno senza tram con l’incubo di spiacevoli incontri, giovane e piacente ragazza, sola di notte alla mercé di qualsiasi malintenzionato in divisa o meno.
Comunque tornando alla sera dell’Immacolata, appena giunti in Istituto, noi ragazzi veniamo spediti immediatamente in rifugio, la cantina sotto il padiglione centrale. Lì sotto regna la massima confusione, tutti urlano, ma non per paura, semplicemente solo per raccontarsi le vicende della giornata passata a casa. Difatti il baccano della contraerea è infernale, raffiche ininterrotte di colpi spararti a strappi confinale lacerante ta-tam su due toni ravvicinati di insopportabile acutezza. Gli scoppi delle bombe e gli spezzoni incendiari che cadono a migliaia neppure si odono, si sente solo il fracassa della contraerea!
La sarabanda infernale dura poco più di un’ora, quando finalmente tacciono gli spari e suona il cessato allarme viene dato l’ordine di risalire a rivedere le stelle. Però le stelle non si vedono più, sono sparite dietro un nuvolone di fumo nero, mentre il cielo si è tinto di rosso. Il fuoco divampa sulla legna accatastata per l’inverno nel campo confinante cogli stabilimenti della Innocenti, inoltre stanno bruciando il teatro e il magazzino degli strumenti musicali.
Addio sogni di gloria, quale primo trombettiere nella banda dei Martinitt! Che gli anglosassoni abbiano avuto notizia di tanti giovani promettenti suonatori e per metterli definitivamente a tacere abbiano organizzato questo bombardamento? Comunque non c’è tempo da perdere né da pensarci, occorre rimboccarci le maniche per rimediare al guaio. Sotto la guida degli istitutori si corre ai ripari, i pompieri hanno altro a cui pensare, mezza Milano è in fiamme e a limitare i danni ci si deve arrangiare da soli. Perciò il resto della notte è impegnato nell’impresa di spegnere il rogo, i piccoli a riempire d’acqua i più inverosimili contenitori, i grandi a versarli sul gigantesco falò. Dopo quella notte di fuoco il Consiglio di Amministrazione del Pio Albergo Trivulzio i tre Istituti, Martinitt, Stelline e Vegiòni, è costretto a prendere drastiche decisioni onde salvaguardare i suoi ospiti. Le Stelline vengono sfollate a Meda, il loro posto in corso Magenta 59 è preso dai Martinitt più grandi, circa duecento, di seconda e terza sezione, ossia medie e lavoratori. I Martinitt delle elementari vengono invece trasferiti a Fano, sull’Adriatico, nella a me già nota colonia Tonini.
Le devastazioni della guerra |
Quanto ai Vegiòni delle Baggina ci si accontenta di difenderli con il segnale di Ospedale, una grande Croce Rossa (che in verità è un grosso quadrato di colore rosso) pitturata sul tetto di ogni padiglione, con la speranza e fiducia che gli aerei incursori nemici rispettino questo contrassegno di protezione, a suo tempo concordato fra tutte le Nazioni belligeranti.
Quindi a Natale, con uno sfollamento fatto al contrario, sono già traslocato nell’ex Istituto delle Stelline, mentre Carluccio è al mare. Penso a mia mamma, due figli, da appena due mesi ricoverati insieme nello stesso collegio, e adesso uno va lontano e l’altro resta qui.
Ad ogni modo in corso Magenta, se non fosse per la fame, si sta pur anche bene! Al mattino pulizie in dormitorio completate da un ulteriore incarico di ramazza al P2 (portico secondo) con il diritto a un supplemento di viveri di dieci castagne, quindi ripasso scolastico aggregati al corso interno di avviamento in aule sottozero. Nel pomeriggio ancora studio e ricreazione fino all’ora del sostituto di una cena. A scuola in Umanitaria non ci andiamo perché le vacanze natalizie, una volta trascorse le festività di Capodanno e dell’Epifania, per problemi di riscaldamento, vengono continuamente prolungate, dapprima a fine gennaio e poi in seguito alla metà di febbraio. Cioè dopodomani! ... ...
I Documenti seguenti testimoniano la situazione dei Martinitt e dell'Istituto di via Pitteri in quei tristi anni durante i quali la follia umana raggiunse livelli inimmaginabili.