martedì 26 novembre 2019

La Stazione Centrale di Milano, come sarebbe potuta essere e come sarebbe potuta diventare di Gabriele dell'Oglio

Panoramica sul fascio dei binari della Stazione Centrale, 1975 circa, Archivio Gettyimages




Tutti conosciamo la Stazione Centrale di Milano e molti hanno avuto modo di approfondirne la storia tramite diversi testi o articoli sul web.
Come noto, la genesi dell’attuale Stazione Centrale ha avuto un iter alquanto travagliato.
Dopo la costituzione il 1° luglio 1905 della Amministrazione Autonoma delle Ferrovie dello Stato, fu predisposto un piano di riordino del nodo ferroviario di Milano, che prevedeva la costruzione di una nuova Stazione Centrale, in sostituzione di quella preesistente, divenuta totalmente insufficiente rispetto al traffico ferroviario, nonché una nuova linea di cintura [1].

1 Piano di riordino del servizio ferroviario di  Milano del 1906


In occasione dell’inaugurazione della Esposizione Universale, che aveva come tema i trasporti, avvenuta il 28 aprile 1906, fu addirittura posata (con ottimistico anticipo), la prima pietra della costruenda nuova Stazione Centrale [2].

2 La Cerimonia di posa della Prima Pietra, Civico Archivio del Castello Sforzesco

Nel dicembre dello stesso anno fu bandito un primo “Concorso per la facciata della nuova stazione viaggiatori”; tuttavia nessuno dei 17 partecipanti si aggiudicò il primo e secondo premio, sebbene due progetti (“Pax et Labor” e “Wagram”) ottenessero una menzione [3].

3 stralcio del Progetto Cantoni, 1906, AC p 114

Nel settembre del 1911 fu bandito un secondo concorso, con il contributo economico del Comune di Milano, che vide la presentazione di ben 43 partecipanti.
La commissione di gara, presieduta ancora una volta dall’Arch. Camillo Boito, assegnò il primo premio al progetto “in motu vita” [4] dell’Architetto Ulisse Stacchini ed il secondo premio al progetto “Per non dormire” degli Architetti Boni e Redaelli [5].

4  Stralcio del Progetto di Ulisse Stacchini, 1912, AC pag 120

5 05 Stralcio del Progetto Boni Redaelli, 1912, AC pag 126
Nell’agosto 1912, il Consiglio di Amministrazione delle FF.SS. fece suo il progetto dell’Arch. Stacchini, richiedendo tuttavia una serie di modifiche.
Quindi tra richieste di modifiche [6] [7] ed eventi bellici, per l’approvazione del progetto definitivo si dovette attendere l’agosto del 1924 [8] [9] [10].

6 Stacchini, Variante 1913, AC pag 156-157 XL

7 Stacchini, variante 1915, AC pag 158-159  XL

8 Stacchini, inserimento urbanistico 1924, AC pag 170-171 XL

10 Stacchini, approvato prospetto lato est 1924, AC pag 176-177 XL

Tra le modifiche apportate, oltre alla simbologia del regime, la più importante modifica apportata fu l’introduzione della copertura a grandi arcate, in luogo delle pensiline originariamente previste.
I lavori poterono pertanto riprendere nel dicembre 1924 (nel frattempo era stata realizzata quasi tutta la cintura ferroviaria) per arrivare infine all’inaugurazione avvenuta il 1° luglio 1931, alla presenza del Ministro delle Comunicazioni (cui competevano anche i Trasporti) e del Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Milano [11] [12].

11 Inaugurazione della Stazione Centrale, Civico Archivio del Castello Sforzesco

12 Prospetto della Stazione Centrale, 1931, AC pag 206-207 XL

La Stazione Centrale, con piccole modifiche (ad esempio, è dell’inverno 1932-33 l’attivazione dell’impianto di riscaldamento dei deviatoi, onde prevenire i problemi legati al gelo), e riparati i danni della seconda guerra mondiale rimase invariata fino agli anni ’50.
Nel 1952, le Ferrovie bandiscono insieme al Comune di Milano un concorso nazionale di idee per gli accessi alla Centrale (va ricordato che nel progetto originale non erano previste scale mobili, ma solo 4 ascensori che si sarebbero ben presto rivelati insufficienti alle necessità, tanto che il problema era già stato evidenziato in un articolo sul corriere della sera del febbraio 1941).
Tra i progetti presentati si passa da soluzioni che contemplano modeste operazioni correttive a soluzioni radicali che investono problemi viari, urbanistici ed architettonici.
Ad esempio, il progetto degli architetti Morini e Vincenti prevedeva di integrare i fianchi con due piazze dotate di rampe, in modo che pedoni e veicoli potessero raggiungere il piano binari (posto a quota +7,39 metri).
L'architetto Vittoriano Viganò presentò due progetti: uno simile a quello Morini-Morici, prevedeva due piazze laterali soprelevate al piano del ferro, l’altro prevedeva l’integrale azzeramento dell’edificio in pietra, finalizzato a valorizzare il sistema delle grandi volte metalliche, prolungandolo in un immenso arco trasparente racchiuso da superfici in vetro.
Il progetto “dopodomani” presentato dagli Architetti Giulio Minoletti ed Eugenio Gentili (e vincitore ex equo del concorso nel 1953) era invece più impattante: “demolire la galleria delle carrozze con l’avancorpo centrale, riproponendola più ampia ed a percorso unico alla quota dei binari; sostituire i volumi da demolire con un edificio lamellare alto 160 metri [13]… per controbilanciare con il suo apporto economico la spesa necessaria per l’intera operazione; portare, tramite due rampe simmetriche i mezzi di trasporto su gomma alla quota dei binari ed al coperto; collocare una stazione per autolinee extra-urbane, insieme a due autorimesse, alla quota della piazza, utilizzando lo spazio coperto compreso tra le rampe (*1)”.

13 Progetto Minoletti Gentili, 1953, AC pag 280

Un progetto di così vasta portata finì inevitabilmente per sollevare un forte dibattito, dove si opponevano i fautori dell’architettura moderna (come Bruno Zevi) a coloro che invece temevano che concentrare troppe funzioni in un unico luogo avrebbe creato una maxi congestione (ricordando che la metropolitana 2 avrebbe raggiunto la Stazione Centrale solo nel 1970 e la linea 3 nel 1990).
Nel mare di polemiche il comune e le ferrovie non fecero nulla, se non installare nel 1955 le scale mobili al centro del salone della biglietteria [14] [15].

14 vista in Sezione delle scale mobili, 1955, AC pag 288

15 Vista delle scale mobili, 1955, AC pag 289

Poiché nel frattempo era maturata la necessità di dotare Milano di un efficiente Air Terminal, le Ferrovie colgono l’occasione e chiedono agli architetti Minoletti e Gentili di rielaborare il progetto, inserendo quindi il nuovo tema [16] [17] [18] [19], progetto che viene presentato al Comune di Milano per l’approvazione nel 1960, a nome del Ministro dei Trasporti.

16 Minoletti Gentili ,1960, pianta dell'Air Terminal, AC pag 292

17 Minoletti Gentili 1960, piano binari, AC pag 293

18 Minoletti Gentili, 1960, AC pag 295
19 Minoletti Gentili, 1960, vista dalla piazza AC pag 291

In questo nuovo progetto, l’edificio frontale vede ridursi l’altezza a “soli” 82,90 metri, vengono confermate le rampe per accedere con i taxi al piano binari e posteriormente, oltre le tettoie, viene prevista una piattaforma sui binari (metri 70 x 210), con funzione di eliporto.
La necessità di prevedere un ampio edificio per uffici (sommato all’Air Terminal e all’autorimessa sotterranea per 3.000 automobili) era da un lato finalizzata ad ospitare gli uffici milanesi delle FS (che all’epoca occupavano Palazzo Litta) e dall’altra a ricavarne un reddito tale da autofinanziare l’intera operazione, senza oneri per le amministrazioni proponenti.
Tuttavia anche questo progetto non vide mai la luce, per cui la Stazione Centrale rimase sostanzialmente invariata sino ai recenti interventi promossi da “Grandi Stazioni” per “valorizzare” gli spazi, trasformando in Centro Commerciale gran parte dei grandi saloni e delle aree di servizio che negli anni erano rimaste inutilizzate, obbligando i malcapitati viaggiatori a qualche giro non propriamente ottimale per raggiungere il piano binari, ma questa è storia recente.

Bibliografia
storiadimilano.it/citta/milanotecnica/ferrovie/ferr_centrale.htm
Angeleri Columba “MILANO CENTRALE storia di una stazione” Edizioni Abete 1985

Immagini da Angeleri – Columba Op. Cit
[0] Archivio Gettyimages
[00] dal sito stagniweb.it
[2] [11] Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco
Note:
* citazione da Angeleri – Columba Op. Cit, pag 289/290