Breve compendio sull' origine dei nomi delle cascine lomelline, tratto dal progetto "Il Canto della Terra" realizzato nell'ambito delle iniziative promosse dal Museo della Vita quotidiana Franco Fava
Il risveglio d’interesse,
verificatosi negli ultimi decenni, per il patrimonio architettonico rurale e
per le tradizioni contadine ha portato alla pubblicazione di innumerevoli
libri, che hanno cercato di approfondire gli aspetti storici, architettonici,
artistici e i valori umani delle cascine e del loro mondo.
Pochi autori, però, hanno indagato sulla origine di
nomi e toponimi relativi a quel mondo che rappresenta tutt’oggi una parte
notevolissima nella vita della nostra regione. Una lacuna di non poco conto,
poiché gran parte dei nomi di cascine e di località rurali riconduce
direttamente ad antichissime tradizioni, a consuetudini ben radicate nella
storia e nella esistenza delle popolazioni contadine.
Se a nessuno può sfuggire l’origine del nome della Sforzesca,
che tutti sanno costruita nel 1486 da Ludovico Maria Sforza detto “il Moro”, o
della Buccella, nota fin dal Medioevo come proprietà dei nobili
Biffignandi-Buccella, possono invece sussistere difficoltà nella
interpretazione di altri toponimi, quali Faenza, Barzo, Giarre
eccetera.
Tra gli interrogativi più ricorrenti è il perché, tra
i nomi dati a cascine e agglomerati rurali, siano molto comuni le intitolazioni
ad alcuni santi (per esempio, Santa Marta, San Benedetto, San
Pietro eccetera), sempre i soliti sei o sette nomi tra le migliaia presenti
nel martirologio cristiano.
Così pure ci si chiede spesso la motivazione di
toponimi che riportano alla mente nomi o cognomi noti, o sentiti qualche volta
nominare e rimasti nella memoria. L’usanza più diffusa nell’attribuire il nome
a un complesso o a una località rurale, fin dai tempi più antichi — e, in
particolare, in età romana, — in ogni parte del mondo, come d’altro canto
avviene anche per molti edifici civili, è stata la cessione, da parte del
proprietario, del proprio cognome all’edificio o all’intero fondo agricolo. È
dunque evidente che la Portalupa derivi da Portalupi, Morsella
(l’attuale frazione del comune di Vigevano che prende a sua volta il nome da
una antica preesistente cascina) da Morselli, Calva da Calvi, Camina
da Camino (ovvero Guglielmo da Camino, ingegnere sforzesco a cui era
attribuita, secondo una ipotesi oggi confutata, la costruzione della
Sforzesca), Scarampa da Scarampi (Angelo Maria Scarampi, vescovo di
Vigevano dal 1757 al 1801), Negra da Negri, Burattina da Buratti,
Callegara da Callegari e così via.
Come si è detto, molto
diffusa è l’attribuzione di nomi di santi: scontata, per ovvi motivi religiosi,
la dedicazione alla Beata Vergine — ovvero santa Maria, peraltro
patrona dei coltivatori diretti, — è opportuno ricordare che tra i santi più
ricorrenti nei toponimi rurali vi è santa Marta (patrona dei proprietari
di immobili), seguita da sant’Antonio Abate (patrono dei suini, dei
cavalli e degli animali domestici, nonché di agricoltori, allevatori, macellai,
e di molte altre attività legate agli animali). Un poco meno diffusi sono san
Benedetto Abate (patrono degli agricoltori d’Italia), san Pietro
(patrono dei mietitori), san Giacomo Apostolo (patrono dei pellegrini
oltre che invocato per la protezione dei raccolti), san Martino di Tours
(patrono dei vendemmiatori, dei viticoltori e degli osti), san Paolo
Apostolo (patrono dei cavalieri e dei cavallanti), san Giuseppe
(patrono dei lavoratori in genere, dei falegnami nonché dei padri di famiglia),
san Carlo (patrono delle province lombarde, invocato anche contro la
peste), san Giorgio (patrono di cavalli, cavalieri e sellai), san
Giovanni Battista (protettore dei conciatori, dei cardatori e delle
sorgenti d’acqua, da non confondere con san Giovanni Evangelista,
patrono dei mulini idraulici), san Rocco (invocato contro le catastrofi
naturali e alcune malattie molto comuni nel mondo agricolo), san Biagio
(invocato contro gli uragani e titolare di un ulteriore patronato degli
agricoltori).
Altri nomi di sante e santi (quali santa Giuliana,
san Massimo, san Marco eccetera, che non hanno particolari
riferimenti al lavoro contadino, è probabile venissero attribuiti alla cascina
o al fondo agricolo solo per una particolare affezione al santo in oggetto da
parte del proprietario. In qualche caso la dedicazione al santo era generata
dalla presenza, nelle vicinanze del complesso rurale, di una preesistente
cappella o chiesa di uguale intitolazione; l’esempio più evidente è costituito
dalla tenuta Sant’Albino, adiacente alla omonima antica chiesa presso
Mortara. A uguale significato va ricondotta la intitolazione, molto comune, di Pieve
(per esempio, Cascina Pieve di Velezzo Lomellina)
Molto spesso il nome di una
cascina deriva dalle sue caratteristiche strutturali o dall’aspetto esteriore.
È questa la motivazione di toponimi quali Cascina Nuova, Cascina
Grande, Rossa, Bianca, Cascinino, Cascinetta, Cascinotto,
Caselle (molto diffuso, con il significato di “piccole case”), Casoni
eccetera oppure dalla presenza di uno specifico particolare architettonico: Cascina
La torre, il Palazzo, la Chiusa eccetera.
Non è infrequente che la cascina, o il fondo agricolo,
o uno specifico terreno acquisiscano il nome preesistente della località in cui
sono ubicati, quali Gerone, Pamperduto, Sabbione, Isolone
e così via; nomi il cui etimo di rifà alle caratteristiche del territorio
circostante. In questo contesto si inseriscono i toponimi derivanti dalle
caratteristiche del territorio senza che la località avesse un nome specifico
anteriormente alla erezione della struttura rurale, come è avvenuto per la Buscagliona
(a causa di un’antica presenza di fitte boscaglie), Rotto, Rottino,
Rottone (località vicine a corsi d’acqua, ove era molto comune che
questi “rompessero” gli argini ed esondassero nei campi adiacenti), Cascina
dei Prati, Cascina dei Risi, Cascina Erbetta, Fontanino.
Non mancano alcune Cascina Malpaga, da interpretare come terra dalla
quale è difficile ricavare un raccolto accettabile, cioè “che paga male”.
Alcuni toponimi sono collegati alla presenza nel luogo
di più antiche e ormai scomparse strutture. Si vedano Cascina Erbamara,
presso Cergnago, il cui nome fu ereditato da un’antica e potente abbazìa,
scomparsa nel secolo xvii in
seguito a una piena del vicino torrente Agogna, e ricostruita ex novo
più a ovest; San Damiano (dal nome di un antico cenobio, in territorio
di Zinasco, anch’esso scomparso senza lasciare traccia), Colonna, dalla
presunta esistenza nei pressi di una non meglio identificata colonna miliare
romana, Castellazzo, nel quale una consolidata tradizione vuole
identificare la sopravvivenza di una delle due rocche poste a sorveglianza
della strada per Gambolò, a sud di Vigevano, Dogana, ovviamente in
memoria dell’esistenza, sul luogo, di una postazione di confine, con relativa
dogana.
In taluni casi è la presenza della cascina stessa ad
aver dato origine al nome di una strada o di una località (popolarmente detta
“regione”). A Vigevano sussistono, per esempio, via della Pressa (dalla
scomparsa Cascina Pressa), via Gambolina (dalla Cascina Gambolina),
via Cascine Barbavara, via Cararola e via Chitolla,
conducenti alle omonime cascine situate nella valle del Ticino, e altre ancora.
Si rilevano anche casi di complessi che hanno
acquisito il nome dalla attività principale in essi praticata: valgano, su
tutti, gli esempi, delle vigevanesi Pecorara (cascina fatta costruire da
Ludovico il Moro espressamente per allevarvi una razza particolare di pecore,
importate dalla Linguadoca e famose per la lana pregiata. L’esperimento fallì e
le pecore non sopravvissero alla nuova situazione ambientale, ma il nome della
cascina rimase) e Cascina Salciccia (o Salsiccia, per una probabile
produzione dell’omonimo salume).
Esistono molti toponimi che
sfuggono a ogni catalogazione: è difficile inserire in una categoria nomi quali
Favorita (coeva alla vigevanese e vicina Pecorara, come quella fatta
costruire da Ludovico il Moro, del quale era forse la “preferita”), Aguzzafame
(denominata in antico Guzzafame, della quale lo storico vigevanese Simone del
Pozzo spiega che era così chiamata « per l’amenità del loco, quasi che
incitasse la fame alli stomachi »), oppure Guzza, cascina presso Alagna
Lomellina la cui origine si perde nella notte dei tempi, già sede di un cenobio
vallombrosano, forse mutatio romana sulla strada da Pavia per le Gallie.
È arduo assegnare a uno specifico filone nomi quali quello della rinascimentale
Marza, presso Zeme (forse perché costruita in marzo? o perché derivata
dal personale latineggiante Martius, o, ancora, dal verbo arcaico marzare,
“impregnare”?). Altrettanto difficile cercare oggi di identificare l’origine
del nome della Cascina Avarizia, ormai diroccato cascinale presso
Lomello. Senza dimenticare che alcuni toponimi tuttora in uso sono frutto di
alterazioni e modificazioni generate da antichi errori di trascrizione: è noto
che, in origine, il nome della Cascina Braghettona, sulle rive del
Ticino presso Vigevano, era Traghettona, poiché adiacente vi era un traghetto,
sopravvissuto fino al secolo xix,
che collegava le due rive del fiume.
A volte l’etimologia di un
toponimo è di aiuto nella identificazione delle origini del toponimo stesso:
per esempio, dal prelatino — di origine germanica — bars, o bers,
“luogo senz’alberi”, deriva quasi certamente Barzo (diffuso anche nelle
forme Barzò, Barzio, Barza), e fors’anche Borzolo. Al latino faventia
(vocabolo composto dal verbo favére, “favorire”, e dal suffisso -entia,
comune a molti toponimi quali Piacenza, Fidenza, Potenza eccetera) è possibile
far risalire Faenza, che, oltre a essere il nome di una città dell’Emilia, è un
toponimo presente anche in Lomellina (Molino Faenza, cascina Portalupa
in Faenza).
I toponimi Giarre, Giaretta, Gerone
e simili, fanno riferimento alla natura ghiaiosa del terreno e derivano dal
latino glarea, “ghiaia”; Fogliano è pure di chiara origine
latina, e potrebbe risalire, con significato patronimico, a un personale Folius,
unito al suffisso –anus, se non al più semplice folia, “foglia”.
Anche più facile l’identificazione etimologica di Limido, dall’imperiale
limes, “limite”, “linea di confine”. Roventino sembra essere un
fitotoponimo, derivato da robur, “quercia”, in associazione al suffisso
-etum, a significare “querceto”. Uguale radice potrebbero avere Roverina
e altri toponimi assimilabili.
Non vanno dimenticate, ai fini di una corretta
interpretazione etimologica, le trasformazioni che un nome può aver subìto nei
secoli: errori nella trascrizione manuale (una r poteva facilmente
diventare una n e viceversa; una e mutare in i, una v
in u e così via), omissioni di qualche lettera, traduzione in volgare
dal latino, contaminazioni dialettali eccetera. La moderna dizione di un
toponimo potrebe avere scarse affinità con il vocabolo originario. Si pensi
all’origine del toponimo Zinasco — paese della Lomellina sud-orientale, — il
cui nome originario era ad Binas Columnas (in cui le “due colonne”
citate erano quelle miliari romane), poi abbreviato, nelle trascrizioni
medievali, in ad Binas co. Divenuto definitivamente Binasco, gli venne
sostituita l’iniziale B con una Z, onde distinguerlo dal
preesistente Binasco, borgo situato nella Bassa Milanese, e Zinasco è rimasto.
Tra gli etimi di origine latina più facilmente
identificabili sono anche Miradolo (cascina e mulino presso Robbio, da
non confondere con l’omonimo paese del Pavese orientale, sede di un noto
stabilimento termale), da miratorium, “belvedere”, per indicare un luogo
ameno, da cui ammirare il territorio circostante; Bagnolo, da balnoleum,
“piccolo bagno”, “specchio d’acqua”, “acquitrino”, riferito a una località
frazione del comune di Langosco, secoli fa lambìta dal Sesia e che aveva
conservato a lungo la caratteristica fangosità dei letti abbandonati dai fiumi.
Benché non sia possibile suggerire una metodologia di
ricerca etimologica generale e ogni toponimo necessiti di una indagine singola
e specifica, è lecito affermare che, nonostante la colonizzazione romana avesse
lasciato in Lomellina scarse e poco leggibili tracce concrete, il latino la fa
dunque ancora da padrone nell’origine etimologica dei toponimi più antichi.