L'imponente edificio delle Cristallerie Livellara, via Bovisasca 59, nelle cui forme è possibile ravvisare echi delle teorie architettoniche futuriste dell'architetto antonio Sant'Elia |
Estratto da Milano Futurista
Vera
protagonista del Futurismo, ispiratrice e musa, Futurista essa stessa in
pectore, la città di Milano ha rappresentato l’habitat ideale per il propagarsi
della rivoluzione culturale di Marinetti.
I
fermenti socio-intellettuale di inizio secolo scorso, i salotti cosiddetti
letterari, non dimentichiamo quello di Margherita Sarfatti, insostituibile
vestale del Novecento cittadino, le vaste periferie che si prestavano ad una
nuova veste architettonica, la fiorente industria metallurgica, costituivano in
modo imprescindibile il substrato magmatico creativo per il nuovo a tutti costi
propugnato da Marinetti e soci.
A
ben vedere però, nel preciso ambito dell’architettura, il Futurismo a Milano
non ha lasciato alcunché , né edifici, né
costruzioni, nessuna ristrutturazione o rielaborazione di immobili
preesistenti, le teorie propugnate dagli architetti legati al movimento furono
quasi subito introiettate e trasformate da una corrente, detta Razionalismo,
che andava affermandosi in città pressoché contemporaneamente e della quale
esponenti di primo Piano furono, fra gli altri, Giovanni Muzio e Gio Ponti.
L’unico
architetto autenticamente futurista, fu Antonio sant’Elia (1888 - 1916) che
però morì troppo giovane, senza aver avuto il tempo di mettere in pratica i
frutti del suo genio e della sua personalità.
A
livello progettuale ha lasciato l’opera Città Nuova, redatta negli anni
1913-1914, nella quale, attraverso una raccolta di schizzi e prospettive
teorizza un architettura che potremmo definire in movimento, dove lo spazio si
risolve in un sistema urbanistico integrato dove la scienza tecnologica assume
un ruolo di primo piano.
Nel manifesto dell’Architettura Futurista Sant'Elia
esprime in termini teorici un rifiuto della monumentalità che viene tradito
tuttavia dalle scelte poi messe in essere nei suoi schizzi: le sue architetture
della città futurista hanno connotazioni monumentali molto forti, l’idea stessa
di una città stratificata, dove le diverse reti infrastrutturali si scavalcano,
rimanda alla concezione della città ideale leonardesca.
C'è in Sant'Elia la volontà di fare tabula rasa per
creare una nuova città che sia espressione ed esaltazione delle nuove esigenze,
cancellando non solo la tradizione classica ma anche quella più recente. (...)
L'edificio delle vetrerie Livellara in via Bovisasca realizzato su disegni di Sant'Elia
Come abbiamo già detto non esistono a Milano edifici
autenticamente futuristi ragione per la quale in questo capitolo ci accingiamo
a percorrere un viaggio nella memoria attraverso quelle suggestioni e quelle
realizzazioni che riconducano al fermento vivace di quello scorcio di secolo.
La prima e doverosa tappa sarà un
omaggio a Filippo Tommaso Marinetti, varchiamo quindi il cancello del Cimitero
Monumentale, dove, nel campo 4, a destra del viale centrale che dal Famedio si
diparte perpendicolare verso il centro della necropoli, a terra, si trova una
tomba modesta, ricoperta di una lastra di bronzo decorata ai lati con delle
greche di sapore vagamente floreale: insieme al poeta riposano, nella stessa
sepoltura, il padre e la moglie Benedetta.
Una tomba piccola, quasi anonima, mentre
intorno è uno svettare di monumenti funebri in stile Razionalista e Liberty.
Sulla lapide una scritta semplice:
Filippo Tommaso Marinetti. Poeta.
Al riparto XIX, sepoltura n 229,
sosteremo davanti al monumento a Carlo Carrà: un busto in bronzo realizzato da
Giacomo Manzù si erge su di una base in serpentino sgrezzato ad opera
dell’architetto Giovanni Muzio.
Al Riparto XX sepoltura n 20
incontreremo il monumento dedicato ad Enrico Cavacchioli, mentre nel giardino
del rialzato di Ponente sepoltura n 925 sosteremo davanti alla tomba di Paolo
Buzzi.
Nel giardino cinerario di Levante
sepoltura n 141-144 sosteremo davanti alla tomba di famiglia dove trovano
riposo i resti del poeta Gian Pietro Lucini.
Riportandoci verso l’ingresso del
Monumentale ci soffermeremo al Riparto XVII, n 202, qui si trova la sepoltura
dedicata all’aviatrice Gabriella Angelini, pioniere del volo femminile
italiano, ottenne il brevetto di pilota di aerei negli anni Venti, aveva
raggiunto la notorietà per aver realizzato un
raid aereo in collaborazione con l'Aero Club Milano.
Fu anche la prima aviatrice italiana ad
effettuare un tour aereo sull'Europa, ricevendo per questo un'aquila d'oro dal
regime fascista.
Una sorridente Gabriella Angelini |
L'aeroplano che fu usato per quell’impresa, un Breda Ba.15, è
esposto nel padiglione aeronavale del Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnologia "Leonardo da Vinci" di Milano.
Mentre effettuava un volo da Tobruk a
Bengasi, su di un aeroplano Breda, precipitò sul deserto libico, i resti
straziati del suo giovane essere furono ritrovati solo dopo giorni di ricerca,
la salma fu quindi riportata in Italia ed esposta all' omaggio pubblico a
Milano nella Casa del Fascio in Piazza General Cantore, per poi essere
seppellita nel cimitero Monumentale.
Il monumento è rappresentato da una
slanciata figura femminile, opera in bronzo dello scultore Giuseppe Enrini,
dove il tema dell’anima che abbandona il corpo è interpretato in chiave
futurista ed aviatoria, sulla base sono incise le parole: “In ardimento cadde
dal cielo e in gloria vi risalì. Aviatrice. Cielo d’Africa. 1932”. A fianco
della figura femminile trova posto una scultura, ugualmente in bronzo,
costituita da una contorta elica posta in verticale, a grandezza naturale sulla
quale è inciso l' epitaffio: ...ed or non batte più che l' ala del mio sogno.
Vale qui la pena ricordare che Pino
Masnata, medico vogherese, parolibero futurista ed intimo amico di Marinetti,
dedicò a questa intrepida figura una sua “Sintesi Radiofonica”: L’aviatrice
Gaby Angelini, un breve ma insolitamente significativo squarcio di lirica
commozione. Ne riportiamo il finale:
3° voce di donna: Come è bello volare.
Cielo. Tutto Blu. Italia. Mare e Cielo. Al di sopra del mondo.
Aeroplano, portami al di sopra delle
nuvole. Blu. Eternità
Il rumore dell’aeroplano cessa. Pausa.
Rumore sordo di caduta. Silenzio.
Rumori d’ambiente ambientali di un
interno di chiesa piena di gente.
L’ultima sosta della nostra breve
visita al Cimitero Monumentale la riserviamo all’edicola dedicata alla Famiglia
di Carlo Erba, fondatore dell’omonima casa farmaceutica, che si trova al
Riparto I n 175, un’architettura monumentale dove richiami rinascimentali,
greci, bizantini ed egizi sottolineano un notevole impatto volumetrico. Qui
ricorderemo Carlo Erba, pittore
futurista, omonimo del capostipite, che fece parte del e che morì,
giovanissimo, durante un assalto nella prima Guerra Mondiale.
Al battaglione volontario ciclisti ed
automobilisti di Milano è altresì dedicata una lapide posta sui muri
perimetrali del cimitero a imperitura memoria delle belliche imprese di quello
che fu definito il battaglione futurista.
Il
“Battaglione Lombardo volontari Ciclisti ed Automobilisti”, fu costituito a
Milano come una unità para-militare il
cui obiettivo era quello di preparare alla guerra i propri componenti
attraverso un rigido addestramento
fatto di marce e prove di sparo.
Fra
i primi a che si arruolarono ci furono Umberto Boccioni, Anselmo Bucci, il
giovanissimo architetto Antonio Sant’Elia e Filippo Tommaso Marinetti, in
seguito raggiunti dai pittori Mario Sironi, Achille Funi, Carlo Erba, Ugo
Piatti, e dal musicista e pittore Luigi Russolo.
Il
Battaglione Lombardo, composto da 500 biciclette, 20 moto e 4 camion, guidato
da 22 ufficiali, con 2 medici al seguito, fu inviato in zona di guerra sulla
sponda orientale del Lago di Garda, nelle retrovie del fronte trentino,
dove, il 24 ottobre 1915, parteciparono
alla battaglia di Dosso Casina conquistando un’importante posizione nei pressi
del monte Altissimo
Il
1° dicembre 1915 il corpo Volontari Ciclisti Automobilisti fu sciolto per
esigenze belliche, e i volontari che lo componevano furono congedati
temporaneamente, per poi essere richiamati alle armi.
Impiegati
nei principali fronti di guerra, alcuni di loro pagarono la loro voglia di
arruolarsi con la vita, altri furono gravemente feriti o colpiti da esaurimenti
nervosi.
Tra
le fila del movimento futurista si ebbero oltre dieci morti, tra cui Umberto
Boccioni ed Antonio Sant'Elia, Carlo Erba.
Rientrando in città volgeremo il passo verso il
quartiere di Brera, dove ha sede l’Accademia d’Arte, frequentata da Carlo Carrà
e da altri giovani futuristi.
A pochi passi da qui, in via Fiori Scuri, troveremo
la lapide commemorativa della Antica Farmacia di Brera, dove il primo Carlo
Erba iniziò la sua attività creando, fra gli altri quei prodotti di cui tutti
ancora serbiamo memoria: dalla polvere Idriz, alla Farina Lattea Granulare,
dall’Estratto di Tamarindo all’Erbamil, quello che “Trasforma la sofferenza in
un sorriso”.
Come ulteriore curiosità va citata la produzione in
campo profumiero dell’azienda tra i cui prodotti spicca il profumo “Assalto”,
fu realizzato nel 1917, con l’intento di recuperare una somma da impiegare per
l’acquisto di armi per l’esercito italiano in seguito alla rotta di Caporetto.
L’idea fu di Giuseppe Visconti di Modrone, che
all’epoca era sposato con Carla Erba, la figlia del fondatore, e che
frequentava spesso i locali ed i laboratori dell’azienda
La sagoma della boccetta richiama un milite con
l’elmetto e nella confezione dell’epoca era inserito un foglietto che incitava
ad incoraggiare ed aiutare l’esercito.
Un esemplare di questa creazione si puo’ osservare
nel Museo del Profumo, una istituzione di proprietà privata, che si trova in
via Messina 55.
Sempre nel quartiere, in via Brera 19, troviamo
l’edificio che rappresentò la prima abitazione milanese di Margherita Sarfatti,
prima che si trasferisse in Corso di Porta Venezia 91, nel palazzo che fa
angolo con la via Palestro,dove avrebbe tenuto il suo celebre salotto
frequentato, fra gli altri da Boccioni, Sironi, Marinetti e Benito Mussolini.
Ci recheremo ora in galleria, al cui
ingresso sarà piacevole sostare per un aperitivo in quel gioiello Liberty che è
il Camparino, invitabilmente sorseggeremo un Bitter, magari servitoci dalla
bottiglia progettata da Depero e ci faremo trascinare dalla suggestione dentro
le linee del famoso quadro di Boccioni Rissa in galleria. Del 1910.
Anche
l’esperienza artistica di Carlo Carrà affronta il tema della città ,caratterizzandone la fase futurista, e permane come una
costante nella sua produzione, anche se si coniuga in forme molto diverse: dal
divisionismo dinamico delle piazze milanesi, alle sintesi futuriste che
affiancano il Manifesto di Marinetti,
agli scenari cubisti del 1912 - 1913, ai collage
paroliberi, fino alle visioni metafisiche del poeta-pittore, che dal suo studio
evoca un rapporto tutto mentale con il mondo esterno.
Ricordiamo
brevemente il Ristorante Bar Savini, sempre in Galleria, che fu teatro di
memorabili cene tenute da Marinetti e dai suoi compagni ed il Caffè Centrale,
poco distante da qui, oggi non più esistente, che si trovava in via Carlo
Alberto, l’odierna via Mazzini, locale che Boccioni Carrà ed altri futuristi
erano soliti frequentare.
In piazza San Sepolcro si trova il quattrocentesco palazzo
dei Castani, nelle cui sale il 23 marzo del 1919 furono fondati i fasci di
combattimento alla presenza di Filippo Tommaso Marinetti e di Benito Mussolini,
quest’ultimo era allora direttore del giornale “Il Popolo d’Italia” che aveva
la sua sede poco distante da qui, in via Paolo da Cannobbio.
Ci
dirigiamo con passo svelto in Corso Venezia fino ad incrociare la via Senato,
qui al civico n 2 potremo leggere la lapide commemorativa di Marinetti che in
questo palazzo giallo e grigio, di
quattro piani, abitò con la famiglia, prima di trasferirsi un poco più in là
nella famosa casa rossa, un edificio in stile risorgimentale, oggi scomparso.
Al
suo posto, Corso Venezia 37, oggi troviamo una costruzione degli anni Trenta
che è sede dell’Istituto di Previdenza, se però ci inoltriamo nel cortile
avremo occasione di ammirare alcuni frammenti superstiti della casa rossa,
detta anche casa dei Ciani, si tratta delle intelaiature di due finestre e di
un portone, rivestiti di terracotte scolpite dove campeggiano figurine
militari, cannoni e scene allegoriche dedicate alle guerre d’Indipendenza: fra
di esse un Garibaldi che entra in città sul suo bizzoso cavallo, un General
Lamarmora che guida i suoi bersaglieri alla carica ed un Camillo Benso, Conte
di Cavour, che si erge sul suo seggio in parlamento. (...)
Di nuovo a zonzo per la città, osserveremo la Torre Littoria
che fu costruita in occasione della quinta Mostra Triennale delle Arti Decorative su progetto dell’architetto Giò Ponti e venne inaugurata il 10 agosto 1933.
che fu costruita in occasione della quinta Mostra Triennale delle Arti Decorative su progetto dell’architetto Giò Ponti e venne inaugurata il 10 agosto 1933.
La torre era rimasta chiusa sin dal 1972, ma a partire dal
1985 è stata fatta restaurare a spese della notissima distilleria di liquori
Fratelli Branca E' stata riaperta al pubblico per la prima volta nell’estate
del 1997. Dalla torre, la cui saletta di vertice, 97 metri sopra la città, non
può più essere per ragioni di sicurezza il ristorante che vi era alle origini,
è possibile avere una visione panoramica sui principali monumenti della città:
l'Arco della Pace, il Castello Sforzesco e il Duomo, un luogo unico per
ammirare i panorami su Milano.
L’ascensore
panoramico consente di salire lungo i 99 metri in circa 90 secondi sino al
locale belvedere. Dal 9 febbraio ad aprile la Torre Branca è aperta al pubblico
due giorni alla settimana, il mercoledì e il sabato, dalle ore 9 alle ore 16.
Ancora in Piazza Cavour
sosteremo ad ammirare il Palazzo dell’Informazione, che fu costruito tra il 1938 ed
il 1942 dall'architetto Giovanni Muzio ed era destinato ad essere la sede del
quotidiano "Popolo D'Italia", che qui veniva composto e stampato.
La composizione delle facciate
è caratterizzata dalla bidimensionalità degli elementi, con l'accenno nei
movimenti delle superfici marmoree di un alto portico centrale sovrastato da un
bassorilievo eseguito da Mario Sironi.
E proprio a Sironi è dedicata, all'ultimo piano dell'edificio, la
grande sala attrezzata per congressi ed esposizioni, qui trova collocazione il
noto mosaico, eseguito dall’artista, l’Italia Corporativa, esposto parzialmente
alla VI Triennale e,nella sua completezza, a Parigi nel ’37 all’Esposizione
Universale e infine definitivamente collocato a disposizione della nostra
città.
Notevole per la quantità di opere in esso presente è
poi il Palazzo di Giustizia, attuale Corso di Porta Vittoria, che terminato nel
1940: una mole disegnata non per la piccola dimensione umana ma per gli eroi
del sogno imperiale del regime.
L’edificio si presenta con quattro prospetti
interamente rivestiti in marmo che poggiano su un basamento di scuro serizzo.
Gli ambienti interni, ovviamente enormi, sono
costituiti da ben 1200 stanze e 65 aule.
Per quanto discutibile possa essere quell’immensa
profusione di marmi e volumi monumentali e celebrativi, va comunque
riconosciuto a Piacentini il merito di aver collaborato con più di 150 artisti milanesi per la
realizzazione delle varie parti decorative del complesso architettonico,
all’interno del Palazzo di Giustizia sono presenti diverse opere d’arte
sconosciute ala maggior parte dei milanesi.
Nelle varie locazioni del palazzo troviamo pannelli
decorativi, bassorilievi, statue, affreschi e mosaici dei più noti artisti
dell’epoca, nomi quali Carrà, Campigli, Sironi, Fiume, Manzù, per citarne
alcuni.
Un grande mosaico di Mario Sironi, del 1935, orna la
parete di fondo dell’Aula d’Assise: una casta fanciulla che impersona la
Giustizia è raffigurata a vivaci colori ed
è accompagnata da una figura femminile che rappresenta la Legge e ne
regge le Tavole, un giovane forzuto completa il gruppo trasportando il fascio,
insegna del potere dei magistrati dell’antica Roma, ma anche del regime
fascista, mentre più in là la Verità volge uno sguardo fiero al terzetto testè
descritto, i più maliziosi sostengono che gli occhi della fanciulla abbiano
un’espressione di dubbiosa perplessità.
Poco
lungi da qui, in via Freguglia 14, sosteremo davanti all’edificio che ospita la casa del Mutilato, un tipico esempio
dell’architettura di Regime.
Progettato
dall’ingegnere comunale Luigi Lorenzo Secchi, fu costruito tra il 1937 ed il
1942.
Sempre
in Corso di Porta Vittoria al civico numero 43 troviamo l’imponente
architettura sede della Camera del Lavoro:
in
origine era la Casa dei Sindacati Fascisti dell’industria.
L’edificio
risale agli anni Trenta e fu realizzato su progetto dell’Architetto Antonio
Carminati.
Da
rilevare che le facciate dei due corpi che si allungano verso il Corso
conservano tracce degli originari fasci littori che ne decoravano la
superficie e che
furono
distrutti durante quei giorni di ardente brama vendicatrice che seguirono
l’immediata fine del secondo conflitto Mondiale.
I gruppi scultorei raffiguranti la Marcia su Roma e la Carta del Lavoro, realizzati su disegni di Mario Sironi, che si trovavano lungo il coronamento superiore delle ali laterali furono lasciati colpevolmente andare in malora per poi rimuoverli nel corso del 1967, rimane una testa dell'Italia, conservata all'interno del palazzo, oggi sede CGIL.
I gruppi scultorei raffiguranti la Marcia su Roma e la Carta del Lavoro, realizzati su disegni di Mario Sironi, che si trovavano lungo il coronamento superiore delle ali laterali furono lasciati colpevolmente andare in malora per poi rimuoverli nel corso del 1967, rimane una testa dell'Italia, conservata all'interno del palazzo, oggi sede CGIL.
La Casa dei Sindacati Fascisti con le sculture originali |
A
due passi da qui sorgeva il padiglione dismesso, di proprietà delle Officine
Grafiche Ricordi, all’interno del quale, il 30 aprile 1911, si tenne la prima
esposizione d’arte libera futurista.
Restando
nell’ambito dell’ architettura fascista ricordiamo l’edificio in via Nirone 26,
che per anni fu la sede milanese della Democrazia Cristiana.
E’
opera degli anni Venti dell’architetto Paolo Mezzanotte che interpreta con
stile personale la funzionalità architettonica di quella che in Italia diventa
una numericamente nutrita tipologia e inevitabile centro amministrativo di
Città e paesi: La Casa del Fascio.
Il
fabbricato si sviluppa su un’area di 600 mq., la cui fronte principale è lunga
m. 22.50, presenta una struttura murale in mattoni e solo parzialmente in
cemento armato, in corrispondenza al salone del piano terreno. I soffitti sono
in ferro e volterrane. La facciata è realizzata in travertino nudo mattone
chiaro del Vogherese, il portale è ricoperto di rame sbalzato, Il rivestimento
dell’atrio è in pietra verde di Montalto, la scala è in marmo di Istria.
Nel
piano terreno della fabbrica sono ubicati l’Atrio, il Salone con tribune per
conferenze, capace di 1.200 persone, e gli uffici vari. Al primo piano fra gli
altri ambienti, si trovano la Sala d’onore e le tribune aggettanti sul salone
delle conferenze. (...)
Ancora
vale la pena di citare l’ultima opera realizzata dalla coppia Ponti Lancia nel
1936: la casa torre Rasini in corso Venezia 61: un palazzo di sei piani ad
angolo che riprende l’allineamento degli edifici vicini con affiancata una
torre in mattoni rossi a vista che si pone come elemento di chiusura e di
dialogo con il giardino circostante, le linee dell’edificio ricordano, ben più
che vagamente, nel contrapporsi delle volumetrie i disegni realizzati da
antonio sant’elia nella città Nuova.
Sarà
poi nostro dovere segnalare che le civiche raccolte d’arte ospitano un
esauriente catalogo di opere futuriste che è sempre possibile visionare. (...)
Una
volta ammirate le opere pittoriche degli artisti futuristi non sarà facile
sfuggire alla suggestione delle periferie, che tanto spazio trovano nei loro
quadri, sarà quindi piacevole passeggiare per le vie del borgo di Porta Romana,
magari ricordando i quadri “sobborgo di Milano”, e “Officine a Porta Romana” di
Umberto Boccioni che proprio in questa zona, via Adige 23, aveva abitato con la
mamma, così come nella residenza di via Castelmorrone 7, dove dipinse l’opera
Tre Donne, e nell’ultima casa-studio da
lui abitata ai Bastioni di Porta Romana 15, oggi Viale Regina Margherita 35.
Va
assolutamente ricordato che, nel corso del Novecento, soltanto due artisti
hanno avuto con la propria opera così tanta importanza sulla città, al punto da
modificarne il volto millenario: Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 –
Verona, 1916) e Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961). Entrambi milanesi
adottivi, s’erano compenetrati a tal punto che la città stessa determinò
l’impronta della loro opera.
Boccioni
rappresentava la visione futurista sorprendendola nei movimenti dei tramway,
automobili, biciclette e operai al “febbrile lavoro” nei cantieri.
Sironi
arrivò addirittura a trarne un genere, il “paesaggio urbano”, tanto
internazionale quanto tipicamente milanese: dalla nuova Stazione Centrale alla
Bovisa, dall’Ortica alla Comasina. Modificò la città anche con le proprie opere
per committenza ecclesiastica, come ad esempio quel capolavoro che è la vetrata
dell’Annunciazione per la cappella dell’ospedale di Niguarda. (...)
Seguendo le suggestioni ispirateci dai quadri di
questo artista sarà doveroso recarci alla Bovisa dove svettano i giganteschi e
celeberrimi Gasometri e anche ammirare poi quello sito all’Ortica, in via
Tucidite, zona dove troviamo anche lo stabilimento della Innocenti.
Seguendo poi il mito futurista della macchina e della
velocità ci dirigeremo in via Generale Papa, angolo Ulpio Traiano dove sono
ubicati i padiglioni rimasti di quello che, un tempo, era il grande stabilimento
milanese dell’Alfa Romeo.
Ancora sarà interessante visitare, in via Mecenate,
il complesso di edifici che un tempo facevano parte delle Officine Caproni, in
quel quartiere che ha nome Taliedo,
dove sorgeva il Circuito Aereo di Milano.
Non possiamo non citare l’Archivio dedicato
all’artista Cesare Andreoni, esponente milanese di punta del cosiddetto secondo
futurismo, che si trova in via Volta n 12.
Cesare Andreoni, coadiuvato dalla moglie, Chif, creò
l’unica Casa d'Arte milanese, sull’esempio di quella di Fortunato Depero, che
aveva sede in via della Moscova n29,
trasferendosi poi in via Statuto n 13, e che fu attiva dal 1928 alla metà degli
anni Trenta.
Stanchi ed affamati volgeremo ora il nostro cammino
per la via Orti, nella vecchia Porta Romana, dove, in un edificio che era una
stazione di Posta, ha sede oggi il ristorante Lacerba, qui sarà possibile
gustare alcune preparazioni che fanno riferimento alle fantasiose ricette
create da Martinetti e compagni.
Per il bicchiere
della staffa, una bella polibibita, per dirla tutta, sarà poi deliziosa una
visita al museo della Fratelli Branca, che si trova dentro lo stabilimento di
via Resegone, dove ci si potrà immergere nella “degustazione” di molteplici
reclames d’epoca che ci faranno definitivamente capire perchè Milano è la
capitale del “contemporaneo”.
… e ora, consentitecelo, vogliamo chiudere questo testo
citando la frase che scrisse Arthur
Rimbaud, annunciando il suo definitivo abbandono dell’arte letteraria, citando
poi il titolo di un’opera di Martinetti, col quale sottolineava e sintetizzava
l’etica della deflagrazione e infine, come ulteriore omaggio al suo
genio con la frase che sempre chiudeva i suoi manifesti programmatici:
…et tout le reste est literature…
…Zzang Tummb Tummb…