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Panoramica dall'alto sul quartiere di case popolari Mac Mahon, anni 10 del Novecento |
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Cavalcavia Bacula, nei pressi di via Mac Mahon, taglio degli alberi, foto del 1964 di Carla Cerati |
Immagino che quando si parla di Ghisolfa la prima cosa che viene in mente è la prosa ricca e suggestiva di Giovanni Testori e della sua immortale raccolta "il Ponte delle Ghisolfa" ma al di là delle autorevoli suggestioni letterarie mi piace riprendere una serie di ricordi ed emozioni descritte da un'anziana signora milanese che visse per diverso tempo nel complesso delle case popolari della via Mac Mahon.
La signora Brunella Bossi racconta i colori, gli odori, i giochi dell'infanzia, la vita quotidiana e la gioia dell'abitare in quello che oggi definiremmo casone dipinto di grigiore, visti con le emozioni e la poesia del ricordo fresco che solo un bambino può regalarci tornando lei all'infanzia vissuta al 107 di via Mac Mahon negli anni 50 e facendoci tornare attraverso il suo dire ad apprezzare le piccole cose.
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Via Mac Mahon 107, Archivio Gabetti |
VIA MAC MAHON
Cerco nei miei ricordi degli anni '50 e trovo la mia Scuola Elementare Dante Alighieri cresciuta di un piano e gli alberelli divenuti alberi vigorosi, con le radici ribelli che minacciano di danneggiare le rotaie tranviarie.
Questo tratto di via Mac Mahon collega il cavalcavia Bacula, che per noi è sempre stato la Ghisolfa, con quello che era il borgo di Villapizzone, dove, fino ai primi anni del ‘900, le famiglie borghesi di Milano avevano le case di campagna e andavano in estate a godere dell'aria fresca che arrivava dalle Prealpi varesine. ln questo tratto di strada vi erano molti caseggiati di proprietà dell'lstituto Case Popolari. Sei, otto strutture a base quadrata molto simili tra loro, però con qualche piccolo particolare che le distingueva.
Ogni casa comprendeva cento appartamenti divisi su sette scale. lo abitavo all'interno 31, scala C, piano terra. Erano tre stanze luminose con un piccolo cuoci vivande ed un bagno; molto fresche in estate, diventavano un piccolo problema in inverno quando, rientrati in casa, bisognava iniziare l'opera di vestizione perché le cantine sottostanti ci gelavano le gambe fino all'altezza delle ginocchia.
Ma io ci stavo bene.
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IL grande cortile, foto dal web |
Poi ogni casa era dotata di un cortile, vero centro della nostra quotidianità. Per i bambini era una grande valvola di sfogo dove si poteva giocare, correre, cantare, litigare, lanciarsi frasi minacciose per poi fare pace immediatamente. Le nostre mamme ci controllavano dalle finestre, ci rimproveravano, ci chiamavano cento volte quando era ora di rientrare. Bellissimo era il momento della merenda con quelle belle fette di pane e marmellata, o di olio e sale, oppure di burro e zucchero. Quasi sempre succedeva che una mamma si ritrovasse con tanti occhi attenti e tante bocche aperte e così la merenda si trasformava in una festa perché si sa che, dopo aver mangiato, viene anche sete e magari viene voglia di una caramella.
Io sono figlia unica e tutto questo mi piaceva.
Così, come era divertente giocare a nascondersi in quei bei pomeriggi di novembre, quando la nebbia era rispettabile e dove i bambini nascosti si facevano toppare volontariamente perché stanchi di aspettare nei loro nascondigli.
Carnevale era un altro appuntamento importante: eravamo tutti sul campo, conciati in modo assurdo, tutti con la faccia nera grazie ai turaccioli bruciati. Si piangeva poi quando bisognava togliere quel make-up. Quasi sempre i fratelli e le sorelle si scambiavano i vestiti, qualche mamma di buona volontà riusciva a cucire scampoli o adattare vecchi indumenti. Eravamo una vera corte dei miracoli. Ci guidava il signor Giordano, tranviere, che si vestiva da Pierino con un vecchio grembiule a quadretti di sua moglie, una cartella di legno, antico ricordo del suo nonno, un cappellino da marinaio e un grande fazzoletto che raccoglieva tutte le sue lacrime, dato che la mucca gli aveva mangiato il sillabario. La mia mamma invece era addetta agli addobbi, per cui saliva al quarto piano e lasciava cadere nella tromba delle scale tantissime stelle filanti che svolazzavano lì appese per settimane.
Questa festa non piaceva a tutti, però nessuno si lamentava; forse allora si era più alla mano o forse dopo una guerra la gente aveva nel cuore la voglia di sorridere, di divertirsi. Una sola persona ci detestava: la nostra portinaia, la signora Lina che poi si vendicava quando regolarmente passavamo da lei in portineria a farci fare le iniezioni di ricostituente.
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Un'altra inquadratura attuale del cortile, foto dal web |
Della mia casa, intesa come opera muraria, non ho molto da dire. Allora non esistevano le camerette. I bambini più fortunati o semplicemente soli dormivano in sala mentre quelli delle famiglie numerose, che allora erano tante, dormivano dove capitava. Di giorno la normalità, la notte un enorme accampamento dove i piccolini venivano messi nei cassetti del comò. Siamo diventati tutti grandi senza che nessuno si vergognasse di certe situazioni, che al contrario sono col tempo diventate motivo di ilarità, specialmente quando sono raccontate ai nipoti che ti guardano con una espressione quasi imbarazzata.
La casa, quindi, era quel posto dove ti sentivi sicura, amata e protetta, dove la sera ascoltavi la radio prima di dormire perché per vedere “Lascia o Raddoppia” dovevi andare dal signor Enrico che ti metteva a disposizione la sua saletta per qualche ora in cambio di ordinazioni modeste: un caffè, una gazzosa oppure, al costo di quindici lire, un ghiacciolo arricchito da un mezza paletta di gelato alla crema o al cioccolato. Quelle sere sono state le ultime riunioni condominiali pacifiche in assoluto.
Ho tantissimi ricordi di via Mac Mahon, lì ho vissuto trentatré anni e già da trentanove non abito più lì. Tante volte, quando in auto ci passo davanti, mi viene un gran voglia di fermarmi, scendere ed entrare in quel cortile. Subito dopo l'androne c’è un’edicola con una bella statua della Madonna. Nel mese di maggio don Angelo veniva di sera a recitare il Rosario e riusciva a coinvolgere un po' tutti, anche le persone allergiche all'acqua santa, e anche quello, a mio avviso, era un modo per essere comunità. La gente che scendeva in cortile trascinando la propria sedia, se ne stava tranquilla a chiacchierare con i vicini, a sentire le ultime novità, magari anche a spettegolare. Mi piacerebbe proprio fermarmi, perché mi basterebbero pochi passi per vedere bene le mie finestre. Non lo faccio perché mi si stringerebbe troppo il cuore, non certo per tutte le cose e i visi nuovi che inevitabilmente vedrei, ma per tutto quello che non vedrei più, ma che è ancora così profondamente vivo dentro di me.
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Primo piano per la Madonnina d via Mac Mahon 107, foto di Rossella De Amici |
Via Mac Mahon 107, scala C, piano terra, interno 3L. Questa è stata la mia prima casa e forse è la mia casa per sempre.
Questo racconto è contenuto nel libro “Nonni che narrano la storia”, curato da Massimo Madella, Ed. Tau, 2022.
Il Quartiere Mac Mahon fu realizzato fra il 1908 ed il 1909 su progetto redatto dall'Ufficio Tecnico Comunale, in primis dall'architetto Giannino Ferrini con la preziosa collaborazione del collega ingegner Aldo Scotti per la direzione dei lavori.
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Vista di scorcio su un gruppo di villini |
L'intero ed imponente complesso occupa una superficie complessiva di circa 26.500 metri quadri e si articola con 5 caseggiati sviluppati su 4 piani, compreso il pian terreno, 14 villini a 2 piani e due corpi di fabbrica, le villette a schiera, sempre a 2 piani e con giardinetto di pertinenza.
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Vista dei corpi di Fabbrica con le villette a schiera |
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Cortile dei caseggiati di 4 piani |
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Vista interna dei caseggiati a 4 piani, foto dal sito Ordinearchitetti.mi.it |
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Planimetria del quartiere, Archivio ALER |
Gli appartamenti, da 1, 2, 3 e raramente 4, camere, per un totale di 794 unità abitative, presentavano per l'epoca un deciso standard di moderne comodità essendo ognuno dotato di acquaio e latrina proprii. Nella progettazione dei caseggiati furono evidenziati spazi per 22 negozi pensati per approvvigionare il quartiere di generi commestibili diversi, cartoleria, merceria, vendita combustibili e farmacia ma ...rigorosamente esclusi spacci di vino e liquori.
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Scorcio del Quartiere Mac Mahon, foto dal sito Ordinearchitettimi.it |
I grandi edifici furono dotati anche di 2 ambienti dedicati alla custodia dei bimbi ed un grande salone con locali di servizio da destinarsi ad uso Biblioteca e per finire vi si realizzarono degli impianti con docce e vasche separati per uomini e donne ed un lavatoio comune per la cura degli abiti.
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Vista dall'alto del quartiere, foto dal sito ordinearchitettimi.it |
Tutto il quartiere è dotato di acqua potabile a pressione e di condotti per il gas, un sistema fognario domestico permetteva poi l'evaquazione di acque bianche o lorde. Il mercato immovbiliare dell'epoca ci ricorda che un appartamento nei caseggiati veniva venduto per 1850 Lire, 1965 Lire per le villette a schiera, mentre per i villini isolati erano richieste ben 2100 Lire.
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